Giornata ad alta volatilità per il petrolio, tra (presunte) minacce iraniane – che hanno fatto impennare il Wti oltre 75 dollari al barile, record da tre anni e mezzo – e rumor che hanno spinto in ribasso, addirittura sotto 73 $ lo stesso riferimento, che ha poi chiuso sulla parità poco sopra 74 $ (contro i 77,76 $ del Brent).
Alla vigilia dell’Independence Day, che tiene chiusi i mercati Usa, è stato tutto un rincorrersi di voci: da quella secondo cui la Casa Bianca sarebbe pronta a usare il greggio delle riserve strategiche per raffreddare il prezzo del barile, a quella che dà per imminente la soluzione del guasto all’impianto Syncrude, che per tutto luglio dovrebbe bloccare 360mila barili al giorno di forniture canadesi.
L’umore degli investitori resta comunque rialzista e il nervosismo porta a rincorrere ogni spunto di allarme.
Ieri è stato il presidente iraniano Hassan Rouhani a soffiare sul fuoco, con parole volutamente ambigue che hanno fatto temere che Teheran punti a sabotare il traffico di petroliere nello Stretto di Hormuz.
«È scorretto e imprudente immaginare che un giorno tutti i produttori possano esportare il petrolio in eccesso, mentre solo l’Iran non è in grado di esportare», ha detto Rouhani, rifiutandosi di chiarire meglio il suo pensiero.
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