Il Vix, conosciuto anche come “indice della paura”, è tornato sotto i 12 punti. Ciò significa che nel breve gli investitori non si aspettano tensioni sull’S&P 500 a Wall Street, che a sua volta ha un enorme potere di condizionare l’andamento delle Borse globali. Siamo molto lontani dai livelli di inizio febbraio, quando il Vix è balzato a 37 punti mentre le azioni subivano una violenta correzione. In quel caso è stata una buona notizia macro (l’aumento dell’inflazione buona, quella generata da salari) a spaventare gli investitori (troppa inflazione si traduce in tassi più alti e quindi in obbligazioni di nuovo competitive rispetto alle azioni).
E siamo anche lontani dai 17 punti di fine maggio quando il Vix ha registrato un altro mini-scatto in scia alle tensioni politiche in Italia (il “caso Savona”).
Statisticamente quando il Vix oscilla tra 10 e 12 punti vuol dire che sui mercati non ci sono grandi motivi di preoccupazione e che quindi le classi di investimento che simboleggiano un atteggiamento da propensione al rischio (azioni in particolare) possono beneficiarne.
Il Vix in questa fase può dare questa impressione. Se così fosse il recente appiattimento della curva dei rendimenti negli Usa (con la distanza tra i titoli a 10 e quelli a 2 anni sotto i 25 punti) non sarebbe necessariamente il segnale premonitore di una recessione all’orizzonte. Ma potrebbe essere legata, come in sempre più operatori sostengono, alla distorsione creata dalle politiche monetarie globali con la Federal Reserve che difatti è l’unica banca che sta alzando i tassi. Così facendo i rendimenti dei titoli Usa (Treasury a 10 anni al 2,85%) sono difatti molto più interessanti, a parità di rating, di titoli come i Bund tedeschi che rendono appena lo 0,3%, anche in funzione della politica della Bce che tiene il costo del denaro a 0 (rispetto al 2% statunitense).
Quindi ad appiattire la curva Usa sarebbe più la domanda verso gli attraenti governativi americani che non il timore di un imminente inversione del ciclo economico.
Per ora sembra quindi tornato il sereno. Ma i fattori di tensione (guerra dei dazi e rallentamento dell’Eurozona) potrebbero rimescolare lo scenario di quiete dipinto oggi dal Vix. Il tema dazi resta una fonte di incertezza tra gli investitori. Le partite aperte riguardano il rapporto tra Usa e Cina e tra Usa ed Europa. Quanto all’Europa molto dipenderà da come andrà l’incontro - previsto per il 25 luglio - tra il presidente Usa Donald Trump e Jean-Claude Juncker. Lo scopo dell'incontro è evitare l'imposizione dei dazi alle auto, e secondo alcune indiscrezioni il presidente della Commissione Ue si presenterà con più di una proposta. Nel confronto con la Cina lo scontro resta ancora apertissimo.
Il secondo fattore di rischio è rappresentato dal rallentamento dell’economia dell’Eurozona. In Germania la fiducia degli investitori istituzionali (indice Zew) è crollata ai minimi dal 2014 mentre l’inflazione core di giugno ha dato nuovi segnali di stanchezza (dall’1% allo 0,9%).
Questi market mover potenzialmente ribassisti stanno spingendo intanto i gestori a puntare più sulle azioni difensive (sanità, tecnologia e beni di largo consumo) che su quelle cicliche. Una rotazione di portafoglio che per certi versi cozza con un Vix così basso. Così come il “fattore estate”. Come ricordano gli esperti di Pictet, statisticamente «i mercati azionari tendono a essere più volatili a luglio e agosto».
© Riproduzione riservata