La nomina di Fabrizio Palermo alla guida della Cassa depositi e prestiti rappresenta il coronamento di una carriera e di un percorso di crescita all’interno del gruppo. E in ultima analisi, nonostante tutte le polemiche sulla improbabile connotazione politica di questa nomina, un riconoscimento del merito. Palermo è direttore finanziario, ruolo che ha assunto nel 2014 sotto la gestione di Giovanni Gorno Tempini. È un incarico che all’interno di quella istituzione riconosce già funzioni operative più ampie rispetto a quello di un tradizionale cfo. E questo, assieme al ruolo che il manager ha avuto in questi anni nel rafforzare la struttura economica e patrimoniale della società, lo ha reso un candidato naturale per quella posizione. L’operazione sulla finanza di gruppo, anche rinegoziando le condizioni con il ministero dell’Economia per la gestione della tesoreria (anche se tutt’ora Cdp continua a rimetterci nel rapporto tra costi e tassi riconosciuti) hanno impedito di mandare in rosso permanente i conti della società. Con un innegabile vantaggio anche per le fondazioni bancarie che quest’anno hanno beneficiato di un dividendo di circa 180 milioni (Cdp ha chiuso con un utile netto in crescita, a 2,2 miliardi).
Formazione da banchiere d’affari in Morgan Stanley, poi in Mc Kinsey prima di approdare in Fincantieri, dove è stato cfo e vice dg. È stato regista assieme all’ad Giuseppe Bono dell’operazione di turnaround e rilancio fino a trasformare il gruppo in un primario player internazionale.
Palermo non ama la politica, perché questa è stata il mestiere del padre che ha militato nel Psdi e Psi. I primi approcci con i 5Stelle sono iniziati attraverso l’Acea e gli accordi con Open Fiber per la posa della fibra a Roma. Da lì è partito il confronto che ha portato i militanti del movimento, ma anche della Lega, ad approfondire come sviluppare il business della Cdp per un sostegno più efficace all’economia senza stravolgerne la mission. Probabilmente c’è anche la sua mano nelle varie revisioni del contratto giallo-verde che hanno portato su un piano più percorribile il profilo della banca degli investimenti, che ora ricalca cose che Cdp già fa.
Sicuramente si può fare di più. E questo sarà uno dei filoni sui quali si muoverà la gestione Palermo. Sviluppando la presenza sul territorio di filiali della Cassa, funzione che è oggi è a una fase embrionale. In questo può aiutare una collaborazione con vari settori del mondo bancario, come il credito cooperativo. Non è un caso che i negoziati in corso sulla composizione del nuovo board prevedano l’ingresso di un dirigente di Bcc.
Nel board potrebbe entrare un dirigente di IntesaSanPaolo, un industriale napoletano, mentre il ministro Giovanni Tria avrebbe proposto Luigi Paganetto, preside della facoltà di economia a Tor Vergata. L’attuazione del contratto che prevede che la banca degli investimenti possa beneficiare di una garanzia dello Stato può trovare attuazione con la possibilità di collocare bond presso investitori istituzionali con garanzia pubblica, come fa la Cdp tedesca Kfw.
Le partite più urgenti per il manager sono il destino della quota del 5% acquisita in Telecom e il confronto con i soci di Vivendi per rivedere la governance della società. E la chiusura del negoziato con i francesi per l’alleanza navale sulla difesa tra Fincantieri e Naval group: su cui pesa la richiesta italiana di far uscire Thales dal capitale di Naval prima di suggellare l’alleanza. I francesi non hanno ancora risposto. In prospettiva potrebbe tornare d’attualità il progetto Capricorn, rivisto e corretto per non diluire le fondazioni bancarie, che prevede lo spostamento delle quote delle grandi spa pubbliche (come Enel, Poste, Leonardo) sotto il controllo di Cdp.
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