Le «crescenti debolezze finanziarie, le tensioni commerciali e geopolitiche, gli squilibri globali e le diseguaglianze» aumentano i rischi per la crescita mondiale. È l’allarme che arriva dal G20 di Buenos Aires, secondo una bozza del comunicato finale in via di definizione. Le tensioni sugli scambi commerciali, ovviamente, sono al centro della preoccupazione dei leader globali, in gran parte per il cambiato atteggiamento degli Stati Uniti di Donald Trump sulla scena economica e commerciale mondiale. «Questa guerra commerciale produrrà solo perdenti, distruggerà posti di lavoro e metterà sotto pressione la crescita mondiale», ammonisce il ministro dell’Economia francese Bruno le Maire, chiedendo agli Usa di «rispettare le regole del multilateralismo e i loro alleati», dopo che Donald Trump ha di fatto inserito l’Ue fra i nemici dell’America proprio riguardo all’interscambio commerciale. Anche i Paesi Brics - Cina, Brasile, Russia, India e Sud Africa - hanno fatto sentire la loro voce con una nota pubblicata sul sito del ministero dell’Economia cinese, nella quale affermano di voler combattere insieme contro il protezionismo commerciale e sostenere fermamente la globalizzazione economica e il multilateralismo, «opponendosi chiaramente all’unilateralismo e alle varie forme di protezionismo».
Nonostante l’isolamento internazionale degli Stati Uniti sulla questione, fa quadrato intorno al presidente Usa il segretario al Tesoro Steven Mnuchin, sostenendo che le battaglie commerciali avviate da Trump non stanno avendo effetto sull’economia americana, che è su una strada di crescita «molto positiva». Mnuchin quindi difende i dazi e rafforza la minaccia per possibili misure contro tutto il Made in China. Inoltre risponde anche alle critiche di interferenza di Trump sulle questioni valutarie, dopo gli attacchi a Cina e Ue - accusate di manipolare il cambio - e persino Fed, rea di deprimere gli sforzi dell’Amministrazione con il suo programma di aumento progressivo dei tassi di interesse del dollaro. «Il presidente non sta cercando in nessun modo di interferire sul mercato dei cambi», afferma secco Mnuchin: «Nel lungo termine un dollaro forte è nell'interesse degli Stati Uniti ed è il risultato di una straordinaria economia», aggiunge, assicurando che il presidente non ha assolutamento intenzione di mettere pressione alla banca centrale americana. Ma la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ricorda proprio agli Usa che «l’indipendenza delle banche centrali è importante», lanciando nuovamente l’allarme sui dazi: possono ridurre il pil mondiale dello 0,5% entro il 2020.
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