NEW YORK - «Quando sono stato eletto abbiamo perso 800mila posti di lavoro in un mese. L’economia mondiale era al collasso e dovevo gestire due guerre. La gente ha dimenticato come andavano le cose». Così Barack Obama, il 44esimo presidente degli Stati Uniti intervistato da David Letterman su Netflix di recente ha ricordato com’era il mondo in quello spicchio di 2008.
Sabato ricorrono dieci anni esatti dal fallimento di Lehman Brothers. Banca d’affari ultra centenaria, travolta da 613 miliardi di debiti bancari e 155 miliardi di debiti obbligazionari impossibili da ripagare, che si decise di non salvare. «Il buco era troppo grande». Si trattò della più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti che fece vacillare il sistema finanziario americano e il mondo intero.
I tre grandi architetti del piano che fece uscire il paese dall’incubo della crisi subprime furono il governatore della FedBen Bernanke, il responsabile della Fed di New York Tim Geithner, qualche mese dopo scelto da Obama come responsabile del Tesoro, e l’allora segretario al Tesoro dell’amministrazione Bush, “Hank” Paulson jr. Dieci anni dopo i tre si sono raccontati in un incontro organizzato da Brookings Institution.
Paulson: «Se ripenso a quei giorni mi viene da dire che fu un periodo terribile per tutti noi. Dovevamo lavorare su ciò che si sapeva. Stare concentrati sulle cose da fare e lavorare insieme. Fu un periodo stressante e drammatico. Ma avevamo un gruppo di collaboratori meravigliosi che lavoravano per noi. Però non sapevamo quale fosse la soluzione».
Bernanke: «La cosa era resa ancora più complessa dal fatto che eravamo in un momento di transizione dalla presidenza Bush a quella Obama. Da un’amministrazione repubblicana si passava a una democratica. Ci fu una collaborazione molto proficua tra tutti». Gli fa eco Paulson: «La migliore decisione di Obama fu quella di prendere Tim Geithner al Tesoro e confermare Ben Bernanke alla Fed per un secondo mandato».
A marzo la banca d’affari Bear Stearn fu salvata dal fallimento e assorbita da Jp Morgan. «Non potevamo far fallire Bear Stern – ricorda Bernanke - avrebbe avuto un costo troppo elevato per l’intero sistema».
Una settimana prima del crack Lehman, i tre decisero di nazionalizzare Fannie Mae e Freddie Mac, colossi del credito immobiliare che avevano iniettato 5,4 mila miliardi di titoli tossici nelle pance delle banche americane, internazionali e banche centrali. «Io – racconta Paulson – non volevo nazionalizzarle. Credevo non fosse necessario. Quando ci rendemmo conto di come stavano davvero le cose stentavamo a crederci. Il Congresso ci aveva concesso i poteri straordinari. A un certo punto siamo partiti. Adesso si può dire… questo avremmo potuto farlo così, quello colà. Ma allora non c’era tempo. Dovevamo spegnere l’incendio». Geithner: «Eravamo estremamente focalizzati sui mercati per capire che impatto avevano le nostre decisioni il giorno dopo. Era interessante perché noi tre abbiamo tre visioni politiche differenti, tre background diversi e anche tre generazioni diverse. Nessuno di noi imponeva la sua visione».
Ricorda Bernanke: «Quando salvammo Fannie Mae e Freddie Mac fu un weekend incredibile in cui fummo chiamati a prendere decisioni molto importanti in tempi strettissimi. Sui mercati c’era il panico. Se tu parlavi con qualcuno, persone competenti a capo di banche o fondi di investimento, sentivi la loro voce terrorizzata. Per la prima volta nella vita ebbi paura per il mio Paese e per la stabilità. Fu terribile. Sembrava di rivivere quello che avevamo provato dopo gli attentati dell’11 settembre».
Paulson: «Navigavamo a vista. Ogni giorno la domanda era: cosa facciamo ora? Nessuno di noi era sicuro di quello che era meglio fare. Non siamo stati mai divisi perché non c’era tempo. Dovevamo salvare il paese».
Bernanke: «La struttura del nostro sistema finanziario era stata intaccata nelle fondamenta. Avevamo bisogno di regole, di trasparenza e di risorse finanziarie per sistemare una situazione di estrema complessità e riportare la calma sui mercati». Geithner: «Eravamo in guerra. Il nemico era il panico, la paura e la mancanza di fiducia. Dovevamo proteggere il sistema ma anche evitare i danni alla collettività al nostro paese».
«Il presidente Bush - racconta Paulson - mi ripeteva sempre: “Dobbiamo riuscire a fermare questa crisi”. Come emergenza per noi in quei giorni era peggio della guerra in Iraq».
Dopo Bear Stearn e la nazionalizzazione di Fannie e Freddie le cose sembravano andare bene. Fino agli scatoloni di Lehman in quel drammatico 15 settembre. Ricorda Geithner: «Furono giorni terribili. Il mandato del Congresso era limitato e non avevamo gli strumenti per sostenere le banche d’affari». Ancora Paulson: «Quello che successe fu uno shock talmente grande che spinse il Congresso a concederci i poteri speciali, il cosiddetto “bazooka” della Fed, per salvare le altre banche. Senza quel piano di salvataggio probabilmente sarebbero fallite altre grandi banche: Morgan Stanley, Citi, Merrill Lynch, le assicurazioni Alg. Lehman fu un incubo che permise di evitare altri crack ancora più terribili. Se non l’avessimo fatto sarebbe stata una catastrofe».
Ma la decisione di salvare le banche fu estremamente impopolare. «Salvammo le banche per salvare il paese e gli americani, ma non è stato capito da tutti», dice Paulson. Secondo Bernanke la nascita del populismo che ha favorito la vittoria di Trump e dei movimenti anti sistema come Occupy Wall Street, non dipese dal quel piano. «L’origine va ricercata più indietro nel tempo. Un mix di decenni di insoddisfazione per stagnazione dei salari, diseguaglianze, la poca mobilità sociale. Certo la crisi finanziaria non aiutò ma non è stata il principale driver del populismo».
Il sistema finanziario oggi sembra più sicuro, aiutato da una economia americana forte. Molto più di quanto non lo fosse prima della crisi grazie anche alle regole introdotte dopo Lehman. Qualcuno ora torna a parlare di deregulation. Bernanke è lapidario: «Non dobbiamo dimenticare lo shock di quei giorni». «L’ossatura delle regole che ci sono oggi va preservata. È una garanzia per il futuro affinché non accadano più crisi come quelle», gli fa eco Geithner. «E anche perché non ripartano i bonus pazzi e i maxi stipendi dei grandi banchieri», conclude Paulson.
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