Con i dazi sulla soia la Cina aveva colpito al cuore l’agricoltura americana, ora tocca allo shale gas, un altro simbolo del «made in Usa». C’è anche il Gnl tra le merci colpite dalle ultime ritorsioni di Pechino, un obiettivo sensibilissimo per la Casa Bianca, impegnata ad affermare nel mondo il «predominio energetico» degli Stati Uniti.
La tariffa imposta sulle importazioni di gas liquefatto è del 10% invece che del 25% minacciato in precedenza. Ma la sostanza non cambia molto. Lo sconto forse dipende solo dalla gradualità che Washington stessa ha adottato nell’ultima raffica di dazi (il 10% da subito e il 25% da gennaio).
Tenendo la mano leggera Pechino potrebbe anche aver segnalato che resta uno spiraglio aperto per le trattative. Resta il fatto che stavolta ha davvero sparato un colpo micidiale, che rischia di provocare ripercussioni a catena non solo nell’industria petrolifera americana, ma nell’intero mercato globale dell’energia.
Anche l’Europa potrebbe avvertire il contraccolpo. È infatti probabile che le pressioni di Washington per imporre il Gnl americano nel Vecchio continente (a danno soprattutto della Russia) si facciano ancora più intense.
Quanto ai prezzi del gas liquefatto, è possibile – anche se non certo – che nel breve ci sia una tendenza al ribasso sul mercato spot, visto che carichi diretti in Cina potrebbero essere costretti a trovare altre destinazioni. Nel medio-lungo periodo d’altra parte potrebbe crearsi un’insufficienza di offerta, con effetti rialzisti.
Gli Stati Uniti sono infatti il produttore di Gnl con il maggior potenziale di crescita, almeno sulla carta: ci sono decine di progetti per nuovi impianti di liquefazione e le risorse per alimentarli non mancano, considerato che il gas, estratto in grandi quantità anche associato al petrolio, oggi spesso viene addirittura “buttato via”, bruciato in atmosfera con una pratica nota come flaring. Ci vogliono però grandi investimenti, addirittura 139 miliardi di dollari, stima Bloomberg, solo per la dozzina di progetti più “realistici”. E gli americani non potranno più contare sulle società cinesi per foraggiarli.
«Almeno finché ci sono i dazi è improbabile che questi progetti riescano a decollare», è la conclusione di Noel Tomnay, vice-presidente di Wood Mackenzie.
Non è un problema secondario. Se gli Usa sono tra i fornitori di Gnl più promettenti, senza alcun dubbio la Cina è di gran lunga il mercato più appetibile: la Repubblica popolare – impegnata nel conenere l’inquinamento e dunque l’impiego di carbone – ha scavalcato in rapida sequenza la Corea del Sud e poi il Giappone, diventando il primo consumatore mondiale di gas liquefatto.
Nei primi 8 mesi di quest’anno le sue importazioni sono aumentate del 47% rispetto al 2017, raggiungendo 32,2 milioni di tonnellate. Di queste 1,6 milioni venivano dagli Usa, solo il 5 % del totale, ma il 10,7% dell’export americano di Gnl.
I cinesi potrebbero ancora comprare qualche carico spot dagli americani, magari già quest’inverno, quando le temperature più rigide faranno aumentare i consumi. Ma con la “tassa” del dazio il gas «made in Usa» perde competitività: uno svantaggio che si trasforma in opportunità per i fornitori concorrenti, in primo luogo Australia e Qatar, ma non solo.
Proprio nei giorni scorsi, di certo non a caso, Petrochina ha firmato un contratto della durata di 22 anni con Qatargas (società che paradossalmente annovera tra i soci l’americana ExxonMobil) per 3,2 milioni di tonnellate l’anno di Gnl, con avvio immediato.
Stanno facendo progressi anche le trattative Cina-Russia per nuove forniture, sia da Gazprom via gasdotto (la pipeline Power of Siberia sarà pronta entro fine 2019) sia in forma di gas liquefatto. Novatek sta pianificando di prezzare in yuan la vendita della futura produzinoe, ha dichiarato ieri il presidente della società, Leonid Mikhelson.
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