Le vicende di Rusal sembrano essere scomparse dall’orizzonte del mercato dei metalli. Ma per l’alluminio i rischi non sono finiti, anche se il prezzo continua a oscillare intorno a quota 2mila dollari per tonnellata al London Metal Exchange: un livello simile a quello della primavera scorsa, prima dell’annuncio delle sanzioni americane, e molto lontano dal record pluriennale di 2.718 dollari che aveva raggiunto ad aprile.
L’escalation nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina gioca senza dubbio a sfavore di eccessivi rialzi. Nei giorni scorsi inoltre c’è stata un’ulteriore proroga concessa dalle autorità Usa ai clienti della società russa. Ma il conto alla rovescia verso la piena entrata in vigore delle sanzioni – attesa per il 23 ottobre – non è stato interrotto. E le attività di Rusal cominciano a fermarsi.
Armenal – un impianto di Rusal in Armenia, che produce quasi 35mila tonnellate l’anno di laminati di alluminio, destinati all’esportazione in Europa e Nord America – ha cominciato a rallentare le operazioni, secondo fonti Reuters. Altri stabilimenti in Russia, come la fonderia Nadvoitsky in Karelia, hanno già tagliato la produzione, riferisce la stessa agenzia.
La tendenza potrebbe proseguire, mettendo a rischio una fetta importante non solo dell’offerta di alluminio (Rusal è il maggior produttore non cinese, con 3,7 milioni di tonnellate l’anno), ma anche di allumina, la materia prima dell’alluminio, che soffre già di gravi carenze e il cui prezzo è di nuovo schizzato sopra 600 dollari per tonnellata, vicino ai massimi storici.
Gli ultimi sviluppi erano stati previsti da alcuni analisti. «Se Rusal rimane sotto sanzioni non potrà concludere nuovi accordi», segnalava un rapporto Fitch-Cru pubblicato il mese scorso, avvertendo che il gruppo a settembre avrebbe probabilmente cominciato a chiudere impianti. È proprio quello che sta succedendo, anche se nel frattempo qualche passo avanti c’è stato.
L’Office of Foreign Assets Control (Ofac), organismo responsabile delle sanzioni nel dipartimento Usa del Tesoro, ha allentato un po’ la morsa delle sanzioni concedendo a chi è già cliente (o fornitore) di Rusal di sottoscrivere nuovi contratti senza incorrere in “punizioni” da parte di Washington.
Le sanzioni, anche quelle secondarie, contro soggetti stranieri, entreranno comunque in vigore il 23 ottobre. E la concessione difficilmente convincerà i clienti a rinnovare i contratti di fornitura annuali, che stanno arrivando a scadenza in questo periodo, anche se potrebbe essere utile per agevolare grandi società come Glencore, che commercializza gran parte dell’alluminio di Rusal, oppure il London Metal Exchange, che tuttora ne custodisce nei suoi magazzini.
Washington stessa probabilmente aveva bisogno di più tempo, si presume per esaminare più a fondo il piano proposto ad agosto da En+, la holding di Oleg Deripaska, per separare i destini dell’oligarca nel mirino delle sanzioni da quelli delle sue società. Il piano, secondo indiscrezioni di stampa, ridurrebbe la quota di Deripaska in En+ sotto il 45% dall’attuale 70%. Le azioni verrebbero vendute, ma nell’attesa sarebbero affidate temporaneamente alla banca russa VTB, che però è anch’essa sotto sanzioni Usa.
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