La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Che sul risparmio abbondano. Parliamo non solo dei Pir, introdotti quasi due anni fa per canalizzare il risparmio delle famiglie - e in particolare il risparmio gestito - verso le Pmi quotate in Borsa, ma anche del nuovo programma Cir, i conti individuali di risparmio che il governo Lega-M5S si appresta ad introdurre per stimolare le famiglie ad acquistare BoT, Btp e CcT. Cominciamo dai Pir.
Come si evince dalle cifre della raccolta, sono stati un buon successo sotto il profilo dell’interesse del mercato: con quasi 15 miliardi investiti, hanno da un lato superato ogni previsione di gradimento degli investitori, ma dall’altro sono riusciti a fare ben poco in termini assoluti per dare una vera e propria spinta alla capitalizzazione del listino delle piccole e medie imprese italiane - l’Aim. La quota del 21% del totale dei Pir da destinare alle aziende nazionali quotate è sicuramente un aiuto per un comparto che resta tradizionalmente fuori dai radar dei grandi asset manager internazionali, ma la torta da dividere fra il centinaio di nuove imprese sul listino è di fatto una goccia d’acqua nell’oceano della liquidità necessaria agli imprenditori per i loro investimenti. La coperta, insomma, è chiaramente troppo corta. Ma non solo.
Dal flusso di denaro investito dalle famiglie sui Pir sono escluse tutte le imprese non quotate, che nella realtà industriale italiana restano l’ossatura del sistema: per loro c’è solo il credito bancario, che per tante e tante aziende è ancora una sorta di corsa a ostacoli. Trascurare questa galassia popolata non solo da piccole realtà locali, ma anche - come disse Vittorio Merloni - da «mille multinazionali tascabili», ignorarne le esigenze di capitale - tenendole fuori dalla torta dei Pir - significa di fatto rinunciare all’apporto della parte più significativa dell’Azienda Italia nello sforzo comune per la ripresa economica nazionale.
Alla luce di quanto detto, sarebbe bene valutare con attenzione anche il lancio dei Cir, il cui rischio è quello di provocare una pericolosa deviazione strategica dall’obiettivo dei Pir, cioè convogliare il risparmio privato verso le imprese private: se comprare titoli di Stato diventa fiscalmente più vantaggioso dell’acquisto delle azioni, il risparmio nazionale finisce di fatto a finanziare il debito pubblico e non lo sviluppo economico ed occupazionale dell’asse portante del sistema-Italia. Insomma, se oltre alla Cina c’è anche lo Stato che si mette a fare concorrenza al privato, la “via per l’inferno” è garantita.
© Riproduzione riservata