Il mercato è preoccupato per l’elevato prezzo che Telecom si è impegnata a pagare per le frequenze del 5G. Ma sul mancato rimbalzo ora che l’asta è terminata, a detta degli operatori, ha giocato un ruolo soprattutto l’azione degli shortisti che continuano a scommettere sul ribasso. Così il tentativo di recuperare quota 50 centesimi si è esaurito in avvio di seduta e il titolo Telecom ha finito per chiudere a 0,4854 euro con un rialzo limitato allo 0,5%.
Non aiutano le diatribe tra soci, con Vivendi che è tornata ad attaccare Elliott e la governance «disordinata» uscita dal ribaltone di maggio, ma allo stesso tempo la media company che fa capo a Vincent Bolloré - come ha fatto sapere un portavoce da Parigi - rinuncia per ora a chiamare un’assemblea per cercare di rimontare in sella, pur non essendo affatto soddisfatta dall’andamento di Borsa che ha portato le quotazioni a meno della metà del prezzo al quale i francesi hanno in carico le azioni (1 euro, dopo aver già svalutato).
In un contesto dunque già complicato, il costo delle frequenze per Tim è lievitato a 2,4 miliardi, quasi il doppio rispetto alle stime aziendali e il triplo rispetto alle cifre circolate nelle sale operative prima che si aprissero le danze. Telecom, l’incumbent, non poteva tirarsi indietro. Ma per come è stata congegnata l’asta è chiaro che si sarebbe sviluppata una spirale di rilanci quasi al buio.
Nella fascia a 3700 mhz - disponibile da subito a differenza della banda a 700 mhz che sarà liberata dalle tv solo nel 2022 - sono stati infatti messi all’asta solo due lotti da 80 mhz, a fronte di tre operatori che hanno circa un terzo del mercato ciascuno. Il “perdente” tra i tre si sarebbe dovuto accontentare dei lotti a 20 mhz, insufficienti secondo i tecnici a fornire alla clientela servizi 5G in modo adeguato. Nessuno sa veramente che salto di ricavi permetterà la telefonia mobile di quinta generazione, ma la certezza sono i costi, superiori in Italia a quelli di qualsiasi altro mercato europeo. Tim ha pagato per gli 80 mhz nella fascia 3700, circa 0,35 euro per mhz/pop contro gli 0,05 euro dell’asta spagnola e gli 0,14 euro dell’asta britannica.
Ora il problema per Telecom è come far fronte all’esborso. Quest’anno dovrà cavar fuori dal cilindro una somma dell’ordine di 480 milioni per pagare le frequenze. Dopodichè il grosso, una cifra intorno a 1,7 miliardi, dovrà essere corrisposto nel 2022 (nel mezzo solo “piccole” rate). All’inizio dell’anno l’ad Amos Genish sperava di chiudere il 2018 in bellezza recuperando l’investment grade sul debito. Ma, per come si sono messe le cose, questa è diventata un’ipotesi dell’irrealtà e il rischio semmai è proprio l’opposto e cioè che le agenzie di rating rivedano in negativo il merito di credito.
Il livello d’indebitamento - il parametro net debt/Ebitda - quest’anno non potrà scendere. Le proiezioni dell’Ebitda sul 2018, nelle stime degli analisti, sono in calo rispetto al 2017 e il debito nell’immediato è destinato ad aumentare. È vero che le agenzie di rating considerano la spesa un investimento sul futuro, ma è anche vero che nel frattempo, in attesa dei ritorni, il debito aumenta (al 30 giugno l’indebitamento netto era di 25,1 milioni).
Di fatto l’unico aiuto dalle cessioni può arrivare quest’anno dall’operazione che è già in pista, quella di Persidera che comunque non è semplice (resta il nodo del socio di minoranza Gedi) e ha un ordine di grandezza pari a meno della metà dell’assegno da staccare quest’anno per la prima rata delle frequenze. L’iter di valorizzazione di Sparkle, società su cui insiste il golden power, è sospeso e anche su Inwit non può essere deciso nulla fino a quando non si sarà completata la review strategica di tutte le partecipate: valutazioni industriali più che finanziarie che vedono impegnato l’intero consiglio d’amministrazione. La questione è se le agenzie di rating pazienteranno fino a febbraio/marzo, quando Telecom presenterà il piano che dovrebbe fornire un’indicazione sulle prospettive di business e le misure che intende adottare per far fruttare l’investimento e far fronte agli impegni fino al 2022.
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