Trecentoventi miliardi di dollari tra multe e risarcimenti per frode finanziaria pagati in poco più di due anni dalle prime 10 banche del mondo: il conto sale a 400 miliardi se nel monte-sanzioni di Wall Street si includono i patteggiamenti di un centinaio di intermediari finanziari coinvolti nelle inchieste sulle responsabilità dei banchieri nella più grande e devastante manipolazione dei mercati e del risparmio che si ricordi. Dopo il costo record sostenuto per salvare Wall Street e il sistema bancario mondiale, le multe del dopo-crisi sono una sorta di “dividendo” della giustizia a beneficio dei contribuenti danneggiati, dei risparmiatori traditi e degli investitori truffati. Con 400 miliardi si potrebbe comprare il listino delle blue chip di Piazza Affari, o la ricchezza prodotta in un anno dalle economie di 7 nazioni.
Nemmeno l’industria petrolifera e quella chimica, le più esposte ai grandi rischi legali sugli scandali ambientali, sono finora riuscite a collezionare in un arco di tempo così breve un catalogo di infrazioni e di sanzioni tanto pesante.
Ma in realtà, a dieci anni di distanza dallo scandalo dei subprime e dal crollo di Lehman, il «contatore degli abusi» di Wall Street continua a girare velocemente: dopo i 400 miliardi di dollari complessivamente patteggiati e pagati dalle banche americane e dalle grandi concorrenti europee, un’altra cascata di miliardi sta per entrare nelle casse del Governo e nei vari fondi per gli investitori truffati: sulla base delle inchieste, delle cause e dei processi in corso almeno un altro centinaio di miliardi di dollari sono in gioco sul tavolo della giustizia. Se mettiamo insieme tutti i casi archiviati con i patteggiamenti e quelli ancora aperti, la lista delle banche dei banchieri sottoposti a procedimento giudiziario assume i connotati di un «libro mastro» dove sono registrati tutti i responsabili della peggiore distruzione di valore dalla crisi del 1929. Ma c’è anche di più. Per quanto scottate dai grandi scandali, dalle multe e dalle inchieste federali, le grandi istituzioni finanziarie protagoniste della crisi non sembrano affatto pentite o spaventate dalla stretta della giustizia. Parliamo di JP Morgan, Bank of America, Goldman Sachs, Wells Fargo, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Barclays, solo per citare le banche più colpite dalla scure del governo. Non a caso, solo negli ultimi 12 mesi, il dipartimento di giustizia americano ha multato tre grandi banche europee per 19 miliardi di dollari. Deutsche Bank e Credit Suisse sono state colpite da sanzioni per un totale di 12,5 miliardi di dollari, di cui 7,5 sulla sola banca tedesca, mentre la Royal Bank of Scotland ha accettato un accordo extragiudiziale da 5,5 miliardi di dollari per la vendita dei derivati subprime alle famiglie ai piccoli investitori.
Nei nove anni trascorsi dalla crisi finanziaria, Moody’s ha calcolato che le grandi banche di investimento hanno accantonato oltre 273 miliardi di dollari per pagare le spese legali degli scandali. «Nel solo 2016 - speiga Moody’s - gli accantonamenti bancari legati alle inchieste sono ammontati 19 miliardi di dollari rispetto ai 33 miliardi del 2015 e al picco di 59 miliardi nel 2014». Il problema, mettono però in guardia gli analisti, è che il fondo per le cause è tornato a salire verticalmente nel 2017 e nel 2018, e farà altrettanto l’anno prossimo. In termini di singoli istituti, Bank of America e JP Morgan hanno non solo il record delle multe e dei risarcimenti, ma anque quello delle riserve per spese legali: dal 2008, la prima ha accantonato 73 miliardi di dollari per affrontare decine di battaglie legali, mentre JPM ha accumulato munizioni per oltre 40 miliardi.
In Europa la situazione è analoga: le grandi banche tedesche, francesi e inglesi hanno accantonato solo l’anno scorso oltre 16 miliardi di dollari per affrontare nuovi e vecchi processi, ma la cifra è attesa in forte rialzo a fine anno. Royal Bank of Scotland, in particolare, ha accantonato poco meno di 30 miliardi dal 2008 ed è stata la più grande banca non americana ad essere stata coinvolta nelle inchieste sulla crisi dei mutui subprime. Nel complesso, le banche inglesi (oltre a RBS, Barclays e HSBC) hanno già sborsato oltre 35 miliardi di dollari per la vendita di prodotti assicurativi ingannevoli: sul fronte delle perndenze legate alle truffe sui mutui, inoltre, RBS, UBS, Barclays e HSBC hanno ancora circa 10 miliardi di dollari di multe in discussione con le autorità americane.
Ma il “male” non finisce qui. La Deutsche Bank è ora sotto inchiesta penale per illeciti commessi in Russia e quattro ex dirigenti di Barclays sono sotto inchiesta per presunti illeciti nella raccolta di capitali dal Qatar nel 2008. La Federal Reserve, da parte sua, ha appena multato la banca francese BNP Paribas per 246 milioni di dollari per illeciti sui derivati. Tra un caso l’altro, Moody’s ritiene che altri 220 miliardi di dollari tra sanzioni e indennizzi sono in gioco nell’ultimo round di trattative tra i legali delle banche e gli avvocati delle autorità di vigilanza. Circa 120 miliardi di dollari sono il”preventivo” consegnato dal Dipartimento alla Giustizia alle grandi banche americane (Jp Morgan, Bank of America, Wells Fargo) mentre il resto pende sul capo dei «soliti noti» con base nella City: Barclays, Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank e un paio di banche svizzere e francesi. Per gli azionisti significa altri salassi in arrivo.
Negli ultimi anni, infatti, il principale termometro degli scandali sono stati gli accantonamenti per spese legali. Nel 2016, le banche hanno accantonato ben 19 miliardi di dollari, rispetto ai $3 miliardi del 2015 e al picco di 59 miliardi nel 2014. Lo scorso anno le banche statunitensi hanno accantonato 2,9 miliardi di dollari in disposizioni relative alle controversie; in Europa: quelle europee, hanno accantonato invece munizioni per oltre 16 miliardi di dollari, un record preoccupante.
A ben vedere, insomma, quei 400 miliardi di dollari di multe non sono solo lo specchio della “coscienza sporca” dell’elite finanziaria mondiale nel rispetto delle regole di mercato e nei confronti di investitori e cienti. Sanzioni e risarcimenti sono il primo vero bilancio dell’efficacia e dell’incisività del più vasto e radicale processo di riforma dell’intero quadro normativo e regolatorio del settore finanziario mondiale.
Se quest’anno sono stati “celebrati” i primi 10 anni dal crack di Lehman Brothers, l’anno prossimo ci sarà un decennale non meno rilevante: quello del famoso Summit del G20 di Pittsburgh, quando le grandi nazioni industrializzate decisero di rispondere allo scandalo dei subprime e al crollo delle banche e delle Borse mondiali riscrivendo da cima a fondo le norme e gli strumenti di controllo e vigilanza nei servizi creditizi e di investimento.
Per avere un’idea della sua portata, basta l’aiuto di alcune cifre: su mandato del G20, il solo Financial Stability Board ha emanato 50mila disposizioni regolatorie sull’attività bancaria tra il 2009 e il 2015, procedendo poi ad altre 50mila modifiche nel solo 2015: quest’ultima cifra è pari al doppio delle modifiche ai regolamenti effettuate nel 2012. Ogni settimana, in altre parole, tutte le banche del mondo devono fare i conti con una media di 45 nuovi documenti relativi agli obblighi di “compliance”.
Rispettare le nuove regole è oggi la voce di costo più alta del settore bancario internazionale: la JWG di Londra stima in 100 miliardi di dollari la spesa totale sostenuta dalle banche per gli adempimenti normativi e regolatori. Sulla sola Mifid2, il costo dell’implementazione delle nuove regole è stato di 2,5 miliardi di dollari, mentre nel caso della Dodd-Frank, la legge anti-frodi finanziarie varata dopo la crisi dei subprime è costata alle banche 36 miliardi di dollari di spese aggiuntive.
Detto questo, inquadrare in una sola cornice le multe, le nuove regole e i costi addizionali generati dalle riforme finanziarie diventa più semplice. Da un lato, è evidente che le nuove regole e le nuove sanzioni hanno aumentato notevolmente la capacità di azione della giustizia nei confronti delle banche sospettate di illeciti. Dall’altro lato, malgrado l’ampia disponibilità di nuovi strumenti investigativi e di norme più pesanti sul fronte penale, la scelta del percorso giudiziario più opportuno negli scandali che coinvolgono le grandi banche internazionali dipende più dal senso di responsabilità dei governi che dallo spirito delle leggi. In altre parole, se ogni grande inchiesta si è chiusa finora con i patteggiamenti è proprio per il timore degli effetti collaterali sulla stabilità del sistema finanziario che possono essere generati dall’incriminazione penale di una banca o dall’arresto di un grande banchiere. Una maxi-multa, insomma, evita danni sicuramente maggiori sul piano penale: reati come la frode finanziaria, l’abuso nelle pratiche commerciali, la truffa, l’associazione a delinquere e la manipolazione informativa sono fattispecie che comportano non solo il carcere per i dirigenti responsabili dei reati e per i banchieri con ruolo apicale, ma soprattutto al rischio di perdita della licenza bancaria: in pratica, si rischia il tracollo. Ma è bene fare attenzione: senza condanne penali, i soli patteggiamenti rischiano non solo di vanificare lo spirito delle nuove norme anti-frode garantendo ai banchieri corrotti una sorta di lasciapassare giudiziario, ma rischiano soprattutto di diffondere la percezione di una giustizia asimmetrica quando si tratta di giudicare una grande banca o un grande banchiere. Non solo: malgrado le cifre a nove zeri delle multe, i colossi della finanza internazionale non solo riescono a recuperare fiscalmente quanto sborsato con indennizzi e sanzioni, ma non sembrano avere alcun timore di incappare nuovamente negli stessi reati sanati con i patteggiamenti.
In altre parole, oltre al danno al mercato c’è anche la beffa al contribuente e alla giustizia.
Almeno sulla carta, insomma, il monte-multe del dopo-crisi dei mutui sembra davvero una bella cifra: sufficiente per “comprare” in un sol colpo il Pil di 7 nazioni scelte a caso nella lista della ricchezza mondiale: Lussemburgo, Irlanda, Costa Rica, Panama, Giordania, Libano e Siria, per esempio, producono tutte insieme in un anno l’equivalente di quanto hanno pagato le grandi banche internazionali per chiudere i conti con la giustizia americana. Il vero problema, insomma, non son i patteggiamenti, ma l’impressione che se ne ricava. Sembra quasi di essere tornati esattamente ai rischi e agli eccesi bancari della vigilia del 2007. Se non peggio.
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