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Mediaset rompe gli indugi sul digitale: la piattaforma Premium andrà a Sky

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Il giorno X dovrebbe essere l’1 novembre. Non ha intenzione di perdere tempo Mediaset nella vendita della “piattaforma” Premium a Sky. Tutto frutto dell’accordo del 30 marzo che, fra le varie cose, prevede lo sbarco di Sky sul digitale terrestre, ospite proprio sulla piattaforma di casa Mediaset; l’aumento della library per la pay tv di Murdoch con i canali di cinema e serie Premium che hanno in pancia le esclusive Warner (fino a dicembre 2020) e Universal (scadenza a fine 2018, ma rinnovo in discussione); l’approdo di tutti i canali free-to-air del gruppo di Cologno sul l’offerta satellitare di Sky dal 1° gennaio 2019 e, questione che sta arrivando al dunque, la vendita della “piattaforma”.

Ad avere il pallino, in questo caso, è Mediaset: se il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi decide di vendere ciò che ha già inserito nel veicolo societario R2, controllato al 100%, Sky deve comprare. La finestra per esercitare l’opzione put è compresa fra l’1 e il 30 novembre. Mediaset, a quanto risulta al Sole 24 Ore, avrebbe deciso di provvedere subito. Anche perché la trafila non è da poco e l’esito finale, tutto sommato, non si può dare per scontato al 100 per cento. Questo perché con l’esercizio della put scatterà la notifica all’Antitrust. L’Autorità ha seguito la vicenda, richiedendo informazioni in almeno due momenti: in occasione dell’annuncio dell’accordo e poi in estate. Del resto, quello cui hanno lavorato e stanno lavorando Mazzoni Regoli Cariello Pagni, Cleary Gottlieb e Baker McKenzie per Sky Italia, con Chiomenti ed Ejc - Roberti per Mediaset, è un accordo complesso. Qualitativamente, è di certo un’intesa win-win se si considera che Sky ha aumentato la sua offerta di contenuti per i clienti e ha potuto avviare la sua attività pay sul digitale terrestre mentre Mediaset porta i suoi canali sulla piattaforma Sky e cede una struttura di costo legata a un’attività, la pay tv, sulla quale ha deciso di non insistere concentrandosi sulla tv in chiaro.

Attenzione però: non è Premium che sarà venduta a Sky, ma l’infrastruttura su cui poggia il tutto. Si parla di un insieme in cui rientrano circa 130 contratti di lavoro subordinato; il contratto con Nagravision che è la società che fornisce a Premium software e hardware per il criptaggio del segnale televisivo utile all’attività pay; smart card; cam; decoder. Insomma, la parte “operation” comprensiva di gestione del billing, del customer care, del marketing, della parte tecnologica. Se comunque il risultato va a essere un depotenziamento della parte pay per Mediaset, è altrettanto vero che Premium rimarrà come editore dei canali. E in fondo la cosa a Cologno ora non dispiace visto che, secondo indiscrezioni di mercato, il parco abbonati sarebbe rimasto sopra il milione, senza le fughe di massa immaginate vista l’assenza del calcio (anche se un po’, in streaming e per gli abbonati che hanno connessione web, c’è in virtù dell’intesa con Dazn).

L’operazione “R2”, stando alle dichiarazioni di fine aprile del Cfo Mediaset, Marco Giordani, dovrebbe avere un impatto positivo sull’Ebit del Biscione per una cifra fra i 60 e i 70 milioni. Tecnicamente si assisterà a un reverse outsourcing agreement. In sostanza: ora c’è un accordo in base al quale Mediaset ospita sulla propria piattaforma Dtt l’offerta digitale terrestre di Sky; a operazione conclusa, sarà Sky a ospitare Mediaset. Tutto possibile però, sempre per gli accordi di marzo, solo se l’Antitrust darà l’ok incondizionato. In caso contrario Sky ha la clausola che permette di recedere e tutto tornerebbe come adesso, ma con una Mediaset che potrebbe a sua volta esercitare, con congruo preavviso, il recesso dell’agreement che porta Sky sulla sua piattaforma. Precisazione d’obbligo: non ci sarà sospensiva del contratto in attesa dell’Antitrust; il contratto si esegue comunque e in caso di esito negativo sarà risolto. Dopo il closing Antitrust ha 30 giorni di calendario per dare l’ok (con o senza condizioni) o aprire una fase 2 che può durare fino a 45 giorni di calendario. È previsto anche il parere non vincolante di Agcom, in 30 giorni.

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