Troppo petrolio, troppo in fretta. L’Opec e la Russia potrebbero aver sbagliato strategia ed essere costretti a fare marcia indietro. La possibilità di un ritorno ai tagli di produzione è di nuovo sul tavolo di discussione, ora che le quotazioni del barile stanno crollando e che la fine della campagna elettorale negli Usa ha tolto urgenza alla battaglia di Donald Trump per contenere i prezzi alla pompa.
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Sarà un caso, ma le indiscrezioni sulle prossime mosse dell’Opec Plus hanno cominciato a piovere sul mercato proprio mentre oltre Oceano si contavano i voti per le consultazioni di midterm. Il messaggio, trasmesso ad arte attraverso un gran numero di canali, è arrivato forte e chiaro: domenica ad Abu Dhabi si getteranno le basi per una nuova stretta alle forniture di greggio, che potrebbe essere approvata tra un mese a Vienna, al prossimo vertice dell’Organizzazione, anche se non sarà facile far digerire alla Russia un ritorno ai tagli.
La riunione negli Emirati Arabi Uniti è di carattere tecnico. A incontrarsi è organismo ristretto di cui fanno parte sei ministri della coalizione (compresi i più influenti, il saudita Khaled Al Falih e il russo Alexandr Novak), che periodicamente esamina le condizioni del mercato e l’adeguatezza della produzione.
Domenica il gruppo non potrà ignorare l’evidenza: l’offerta di greggio è davvero tornata ad essere eccessiva, in gran parte proprio a causa di Arabia Saudita e Russia.
Da maggio Riad, pressata da Trump, ha aumentato la produzione di 700mila barili al giorno, Mosca ne ha aggiunti altri 440mila.Entrambe stanno pompando a livelli record: 10,7 mbg per i sauditi e 11,4 mbg per i russi.
Davvero troppi, visto che anche la produzione Usa – nonostante i limiti di portata degli oleodotti – continua inesorabilmente a salire: la settimana scorsa secondo l’Eia ha raggiunto addirittura 11,7 mbg, compresi i condensati, un livello che non ha eguali al mondo.
Anche altri Paesi hanno accelerato le estrazioni, alcuni a sorpresa, come la Libia che ha superato 1 mbg per la prima volta da 5 anni. L’avvio soft delle sanzioni americane contro l’Iran ha ulteriormente sballato gli equilibri tra domanda e offerta: Washington ha concesso un’esenzione (sia pure temporanea, di 3 mesi rinnovabili) a 8 Paesi che insieme assorbono l’80% dell’export iraniano. Ora questo potrebbe risalire, anche se non è chiaro di quanto.
Il mercato, influenzato come sempre anche dalla speculazione, sta reagendo in modo vigoroso. Solo un mese fa il petrolio, sull’allarme Iran, volava ai massimi da quattro anni. Oggi il Wti è addirittura in bear market: le quotazioni hanno perso il 20% rispetto al picco di ottobre, scendendo fino a 61,31 dollari al barile. Il Brent, che aveva superato 86 $, adesso scambia a poco più di 71 $.
I rumor sull’ipotesi di nuovi tagli dell’Opec Plus non sono riusciti ad ottenere più di un breve rimbalzo dei prezzi. I dati settimanali dell’Eia hanno gelato il mercato, mostrando non solo una produzione record negli Usa, ma anche l’ennesimo balzo delle scorte di greggio: sono di nuovo salite più del previsto, di 5,8 mb, e a 431,8 mb sono sopra la media stagionale degli ultimi 5 anni.
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