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Telecom, Genish finisce nel mirino: il rischio sono le…

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Telecom, Genish finisce nel mirino: il rischio sono le maxi-svalutazioni

Amos Genish, da settembre 2017 ceo di Telecom Italia. (Bloomberg)
Amos Genish, da settembre 2017 ceo di Telecom Italia. (Bloomberg)

Amos Genish rischia sull’impairment. Sul tavolo del consiglio Telecom oggi, con tutta probabilità, verrà infatti portata la valutazione della sostenibilità dei valori in bilancio del professor Enrico Laghi. Un test che normalmente si fa ogni trimestre, in ottica prudenziale di routine, ma che questa volta potrebbe tradursi in una svalutazione secca degli asset in bilancio, con gli avviamenti-monstre che ancora ammontano a 29 miliardi. Di solito le società tendono a rinviare l’impairment test “ufficiale” aspettando i dati di fine esercizio e l’aggiornamento del piano industriale che può aiutare, se la previsione dei flussi di cassa è congrua, a giustificare il valore degli asset in bilancio.

Così ha fatto Telecom tutte le volte che si è trovata a dover svalutare gli avviamenti. Mai era successo invece di portare a casa minusvalenze su un trimestre. Il questo caso però la perdita di valore potrebbe essere stata giudicata “durevole”, segnalando uno scostamento importante che potrebbe imporre l’immediata svalutazione nei conti e che non sarebbe più recuperabile con il test di fine anno. Il “trigger” potrebbe essere più d’uno. Per esempio l’alto prezzo pagato per le frequenze del 5G - soprattutto quelle nella fascia dei 3800 Mhz che sono state assegnate a un multiplo delle aste più care d’Europa: 2,4 miliardi il conto complessivo per Telecom. Una scommessa quasi al buio perchè nessuno ancora è in grado di quantificare i ritorni, tanto più che di fatto cominceranno a essere sfruttate solo tra cinque anni. Ma ancora più spinoso è il tema della rete. La rete d’accesso - la parte finale che dovrebbe essere scorporata in una società ad hoc - ha una valutazione implicita nel bilancio Telecom di 15 miliardi e finora non è mai stata ritoccata. La differenza rispetto al passato è che oggi c’è la concorrenza infrastrutturale di Open Fiber, che proprio sul finire dell’estate ha chiuso il project financing per finanziare il progetto di costruzione della rete in fibra: più che una minaccia sulla carta, ormai una realtà. Tant’è che, secondo stime settoriali non certo generose, il valore della rete dell’incumbent si potrebbe considerare virtualmente dimezzato.

Di contorno c’è che il titolo è piombato già da qualche tempo ai minimi degli ultimi cinque anni, tuttora poco sopra i 50 centesimi (0,535 euro, +0,72% ieri) e il consensus degli analisti si è abbassato di conseguenza, poco sopra gli 80 centesimi. Di fondo c’è l’accusa rivolta a Genish dall’area che ruota intorno al fondo Elliott di non stare realizzando il proprio piano e di essere troppo spesso assente in azienda. Pare che proprio sul piano industriale - che qualcuno giudica comunque non adeguato per passare l’impairment - si siano surriscaldate le discussioni nel comitato strategico che si è tenuto in settimana, in previsione del cda, dove l’ad sarebbe stato messo in difficoltà. Ieri si è tenuto invece il comitato controllo e rischi, che è andato avanti a oltranza con la presenza di Laghi: segno che la valutazione delle conseguenze dell’impairment è ancora oggetto di discussione.

Qualcuno oggi potrebbe porre il tema della “fiducia” a Genish, che concentra su di sè tutti i poteri operativi. Ma Vivendi, a sua volta, si prepara a dare battaglia contro il blitz “usurpatore” del fondo Elliott. Tregua finita, ammesso che ci sia mai stata: alla prossima assemblea, che - nomina dei revisori o meno - a questo punto si prospetta a breve, probabilmente si andrà alla conta.

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