Il calore delle relazioni tra Stati Uniti e Cina si misura anche attraverso i mercati agricoli. E sul termometro della soia – una voce di esportazione che valeva 12 miliardi di dollari l’anno scorso, ma che è stata più che dimezzata dai dazi di Pechino – la colonnina di mercurio ha cominciato a salire.
Donald Trump non ha dubbi: «Stanno comprando enormi quantità di semi di soia», ha affermato nello Studio Ovale della Casa Bianca, intervistato dalla Reuters. «L’ho sentito proprio oggi, stanno appena cominciando, stanno cominciando ora», ha instito il presidente, senza spazzare via del tutto le perplessità degli operatori, che dallo scorso luglio, quando la Cina ha introdotto una tariffa del 25% sulla soia «made in Usa», hanno visto prosciugarsi gli ordini del gigante asiatico.
Ma al di là dell’entusiasmo di Trump, che potrebbe essere eccessivo, qualche segnale di disgelo forse c’è davvero. Il dipartimento dell’Agricoltura (Usda), al quale è obbligatorio comunicare ogni vendita all’estero di una certa rilevanza, ieri registrava l’export verso «destinazione sconosciuta» di 110mila tonnellate di soia per consegna 2018-19.
Alcuni trader parlano di ben altri ordini dalla Cina: società statali avrebbero comprato 500mila tonnellate per gennaio-marzo, secondo fonti Reuters, per un valore di oltre 18o milioni di dollari. Forse sono questi gli acquisti di cui si rallegra il presidente Trump.
Le quotazioni della soia a Chicago sono in ripresa: i futures ieri scambiavano sopra 9,20 $/ bushel, in rialzo di oltre il 10% dai minimi decennali di ottobre, sull’onda di un ottimismo ancora cauto, ma che comunque trova spunti per alimentarsi.
A parte le dichiarazioni di Trump – che via Twitter già martedì prometteva «importanti annunci» dopo le «conversazioni molto produttive» con Pechino – altri indizi fanno pensare che la tregua, almeno sul fronte agricolo, sia vicina.
La Casa Bianca ad esempio tarda ad erogare la seconda tranche del pacchetto di aiuti da 12 miliardi di dollari per i coltivatori danneggiati dalle guerre commerciali: il via libera al pagamento era previsto per venerdì scorso, aveva detto il segretario all’Agricoltura Sonny Perdue. Ma tutto tace.
Anche dalla Cina intanto arrivano voci di una ripresa dell’import di soia dagli Usa: fonti governative riferiscono alla Bloomberg che il Consiglio di Stato sta valutando ordini per 5-8 milioni di tonnellate, da destinare alle riserve strategiche. A imprese commerciali potrebbero inoltre essere concesse importazioni esenti da dazi per altri 2 milioni di tonnellate.
Da parte di Pechino si tratterebbe di un gesto di riconciliazione dalla forte valenza politica. La soia «made in Usa» oggi è infatti poco competitiva sul mercato cinese (anche al netto dei dazi). Inoltre, i margini di lavorazione delle imprese locali sono negativi, i peggiori da 18 mesi nello Shandong.
Nel Paese asiatico ci sono scorte ampie, sia di semi che di farina e olio di soia, accumulate nei mesi scorsi grazie a importazioni soprattutto dal Sud America. E c’è poca domanda, sia perché gli allevatori stanno imparando a diversificare i mangimi per sfuggire ai dazi, sia perché un’epidemia di peste suina africana ha costretto ad abbattere molti capi di bestiame.
A novembre l’import cinese di semi di soia, di qualunque origine, è crollato del 38% a 5,38 milioni di tonnellate. Dagli Usa non è arrivato quasi nulla, come a ottobre, anche se per la soia americana questa è «peak season» .
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