L’Opec non ha nemmeno cominciato a ridurre la produzione di petrolio e già i tagli sembrano insufficienti. Sono gli economisti della stessa Organizzazione degli esportatori di greggio a evidenziare i rischi per il prossimo anno, che potrebbero costringere il gruppo ad ulteriori sacrifici.
Nella prima metà del 2019 – quella in cui saranno in vigore i tagli – il mercato potrebbe anche evitare il surplus di offerta, ma solo se nessuno tradirà gli impegni presi la settimana scorsa a Vienna o se ci saranno riduzioni impreviste dell’offerta in altre aree del mondo.
Nel secondo semestre, quando l’accordo sarà scaduto, potrebbe invece rivelarsi necessario un taglio ancora più drastico del primo.
Le previsioni parlano chiaro. Con la domanda in frenata e lo shale oil americano che sembra inarrestabile, il rapporto mensile dell’Opec afferma che nel primo semestre 2019 il mercato globale si avvia a un surplus di 1,28 milioni di barili al giorno, poco più del taglio previsto, che è di 800mila bg da parte dell’Organizzazione e di 400mila da parte della Russia e di altri alleati .
L’Opec in particolare, che a novembre estraeva 33 mbg, dovrà tornare a 32,2 mbg. Ma già nel primo trimestre i conti non tornano, a meno che non ci si affidi alla discesa (involontaria) dell’output in Iran e Venezuela: l’Opec si aspetta che il mercato le chiederà 31,7 mbg.
Difficile pensare che tutto vada secondo i piani, a meno che l’Arabia Saudita non si accolli anche stavolta un fardello superiore a quello promesso. Dalla Russia non verrà più dell’aiuto concordato (un taglio di 230mila bg, per di più «graduale»), mentre dagli altri alleati non Opec è già tanto se ci sarà un contributo.
Il mercato è consapevole delle difficoltà. Ed è probabilmente per questo che le quotazioni del petrolio stentano a decollare, a costo di ignorare altri fattori rialzisti, come la chiusura del giacimento Sharara in Libia a causa di nuove violenze, che ha messo in stato di «forza maggiore» forniture per quasi 400mila bg, oppure i tagli di produzione deliberati dalla provincia canadese dell’Alberta, che valgono 325mila bg.
Ieri è stata un’altra seduta volatile, influenzata prima dall’ottimismo per la tregua Usa-Cina sui dazi, poi dai dati settimanali sulle scorte Usa, che non hanno soddisfatto appieno le aspettative. Il Wti per consegna gennaio – che era volato fino a 52,21 dollari al barile – ha finito col chiudere in ribasso dell’1% a 51,15 dollari. Stabile a fine seduta il Brent per febbraio, che vale 60,15 dollari al barile.
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