La Germania è già intervenuta per colmare il “buco” legislativo che si creerebbe sui contratti derivati in caso di divorzio duro tra Gran Bretagna e Unione europea. Francia e Olanda sono sulla stessa strada. L’Italia è più indietro. Il Ministero dell’Economia, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, ha avviato un tavolo tecnico che coinvolge tutte le Autorità del settore finanziario. Ma il lavoro, per predisporre una normativa-quadro che eviti il caos in caso di hard Brexit, è ancora in corso.
Il tempo però stringe: qualora hard Brexit diventasse concreta a marzo, se una normativa ad hoc non arrivasse in tempo con la regolamentazione secondaria di Consob già sul tavolo, alcuni contratti derivati non standardizzati e non regolati attraverso Controparti centrali (di fatto quelli realizzati “su misura” dalle banche per le aziende) potrebbero cadere in Italia in una sorta di area grigia legislativa. In un vuoto normativo, che metterebbe a rischio la continuità contrattuale. Insomma: senza una normativa italiana “tampone”, fatta ad hoc, in caso di hard Brexit potrebbero essere colpite le imprese o le banche che hanno stipulato derivati con controparti inglesi.
Il grido d’allarme arriva dalle grandi banche internazionali, le più attive in questo campo. «I problemi che hard Brexit creerebbe ai derivati attualmente non regolati presso Controparti centrali non possono essere risolti da normative europee - spiega James Bardrick, Uk Chief country officer di Citigroup -. Servono legislazioni ad hoc dei vari Paesi. Purtroppo non tutti si stanno muovendo in questa direzione». Pochi giorni fa - secondo indiscrezioni - un messaggio simile l’ha portato alla Consob anche una delegazione dell’Isda, cioè l’associazione internazionale del mercato dei derivati. L’Italia, pur in ritardo rispetto alla Germania, ha iniziato a muoversi: il tavolo tecnico coordinato dal Ministero dell’Economia, che coinvolge anche la Consob, ha l’obiettivo di proporre una normativa-quadro che disciplini questa e altre problematiche che si aprirebbero in caso di hard Brexit. A che punto sia questo lavoro e quando possa essere terminato è impossibile a sapersi: contattati dal Sole 24 Ore, Consob e Mef non hanno voluto rilasciare commenti.
Il problema nasce dal fatto che se il divorzio tra Gran Bretagna e Unione europea avvenisse senza accordo, le banche inglesi perderebbero il passaporto europeo e dunque non potrebbero più offrire servizi finanziari nell’Unione europea. Questo metterebbe a rischio la continuità contrattuale in tanti ambiti finanziari. A partire dai derivati: le banche inglesi non sarebbero infatti più abilitate ad eseguire determinate operazioni connesse a contratti derivati stipulati con clienti comunitari. A rischio ci sarebbero i contratti conclusi prima del divorzio tra Gran Bretagna e Ue, ma aventi una scadenza successiva a quella data. Morale: i derivati andrebbero trasferiti - con molti problemi tecnici e rischi connessi - in Europa.
Esistono due tipi di derivati, con problematiche differenti in caso di trasferimento: da un lato ci sono quelli standardizzati e regolati attraverso Controparti Centrali (cioè attraverso istituzioni che si mettono in mezzo tra i contraenti e garantiscono il buon esito dei contratti), dall’altro ci sono quelli non standardizzati e non regolati attraverso Controparti Centrali. Si tratta, in questo secondo caso, principalmente dei derivati fatti “su misura” dalle banche per le imprese per soddisfare alcune loro esigenze specifiche. Hard Brexit sarebbe problematica per entrambe le tipologie. Soprattutto per la prima. Ma è sulla seconda che serve una legislazione nazionale per disciplinare un eventuale periodo transitorio se il divorzio fosse senza accordo.
Su questa ci concentriamo dunque in questo caso. Esma, Eba ed Eiopa (cioè le Autorità europee competenti) hanno pubblicato il 27 novembre un Final Report per definire gli standard regolamentari che riducano i rischi di hard Brexit per i derivati non standardizzati. Ma questo non basta per scongiurare il caos: servono infatti anche delle leggi nazionali che diano alle Autorità di Vigilanza il potere di definire i regimi transitori. L’obiettivo deve essere di far valere, anche per i derivati non standardizzati, il principio di «equivalenza temporanea»: di fatto bisogna consentire alle imprese europee di continuare ad operare con le controparti britanniche, per un periodo transitorio, senza dover forzosamente chiudere i derivati e aprirne di nuovi con altre banche. Perché in tal caso i problemi sarebbero enormi. Per le imprese. La Germania è già intervenuta, con una legge ad hoc che si attiva solo in caso di hard Brexit, dando alla BaFin (cioè l’Autorità di vigilanza tedesca) tutti i poteri necessari per disciplinare il regime transitorio. L’obiettivo è di garantire alle banche inglesi di poter operare come se fosse ancora in vigore il passaporto Ue. Non solo in materia di derivati. Lo stesso stanno facendo Francia e Olanda. L’Italia ha avviato un tavolo tecnico, ma il tempo stringe: una volta emanata la legge, la Consob deve infatti elaborare un regolamento secondario. E marzo non è così lontano.
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