Se l’avvio del 2019 in Cina ha confermato sia i recenti segnali di rallentamento dell’economia reale sia il momento negativo dei mercati azionari, non stupisce che una delle questioni cruciali di quest’anno - dal punto di vista degli investitori così come per le implicazioni macroeconomiche - riguardi gli sviluppi di un sistema bancario con forti necessità di ricapitalizzazione, nel quadro di pressioni al ribasso sui profitti e sull’andamento dei titoli in Borsa. Vari analisti osservano che le costrizioni sul capitale delle banche faranno sì che le tentazioni delle autorità di procedere a nuovi stimoli all’economia andranno incontro a serie difficoltà, sovrapponendosi all’esigenza prudenziale di non interrompere il processo di “deleveraging” del sistema finanziario considerato essenziale per gli equilibri a medio-lungo termine dell’intero sistema.
Negli ultimi giorni, non a caso, è spiccata l’approvazione di provvedimenti che appaiono finalizzati a venire incontro alle difficoltà che i “Big Four” bancari si trovano a fronteggiare e, più in generale, a favorire la generazione di redditività nel comparto creditizio.
Capitale sottodimensionato
Per la prima volta, a emettere bond perpetui non saranno solo alcune grandi società statali (che hanno iniziato a farlo da cinque anni), ma anche la quattro G-SIBs, ossia i principali gruppi bancari del Paese, che fanno parte della trentina di gruppi finanziari di importanza sistemica globale: Agricultural Bank of China, Bank of China, ICBC e China Construction Bank (un club a cui potrebbe unirsi entro due-tre anni anche Bank of Communication).
Le stime di Moody’s indicano in 2.850 miliardi di yuan (pari a circa 415 miliardi di dollari) il «buco» di capitale che le prime 4 banche cinesi dovranno coprire per corrispondere nel 2025 ai requisiti fissati dal Financial Stability Board per chi è «too big to fail».
Se i G-SIBs dei Paesi avanzati dovranno detenere strumenti TLAC (total-loss absorbing capacity) pari al 16% dei risk-weighted assets già quest’anno (per salire al 18% nel 2022), quelli dei Paesi emergenti hanno a disposizione più tempo (16% nel 2025 e 18% entro il 2028). Gli orientamenti del governo di Pechino sembrano quelli di accelerare sul raggiungimento dei target, anticipandoli. Il che dovrebbe avere un forte impatto sul mercato dei bond domestici, anche a scapito delle emissioni corporate di soggetti più deboli. I grandi gruppi, secondo molti analisti, non potranno fare a meno di ricorrere a soluzioni di tipo diversificato, sia onshore sia offshore, per raggiungere i più elevati standard internazionali, tanto più che alcune misure interne hanno limitato la possibilità di tenere fuori bilancio una serie di liabilities.
Nuovi strumenti
Al di là del capitolo a parte delle emissioni all’estero, d’ora in poi potranno usufruire di strumenti diversi dai tradizionali canali di finanziamento per lo più attraverso emissioni di tipo azionario, che nell’attuale congiuntura dei mercati finanziari appaiono limitati e onerosi. L’FSDC (Financial Stability and Development Committee) ha infatti dato il via libera all’emissione «quanto prima possibile» di bond perpetui da parte delle grandi banche (non è chiaro al momento se anche al di fuori dei Big Four il permesso sarà accordato).
Sono titoli di debito senza scadenza, che funzionano più come azioni privilegiate portatrici del diritto a un dividendo costante che come obbligazioni tipiche: gli interessi sono pagati al creditore finché questi detiene il titolo. Bank of China, che già mesi fa ne ha approvato le operazioni preliminari, dovrebbe essere la prima a ricorrere a questa soluzione relativamente meno onerosa, una volta che la banca centrale avrà precisato tutti i dettagli del caso. Del resto, anche tra le banche internazionali c’è chi ha cominciato a fare qualcosa di simile: HSBC, ad esempio, ha emesso lo scorso settembre un miliardo di sterline in bond perpetui - in questo caso, convertibili - per venire incontro agli standard globali.
Fonti delle autorità cinesi di regolamentazione hanno suggerito che il rimpinguamento del capitale dei giganti del credito passerà anche attraverso swap tra debito e azioni, senza escludere una frenata all’incremento del business. «La questione-chiave per allentare la pressione sulle banche per rimpinguare il capitale è un cambiamento del loro modello di business e sviluppo - ha osservato Qu Xiangjun, senior partner alla McKinsey -. Dovrebbero aumentare l’efficienza nell’uso del capitale al fine di generare maggiori profitti e dedicarsi maggiormente a business che consumino meno capitale». Ipotesi che implicherebbe però maggiori resistenze nell’allinearsi a finanziare operazioni che interessano molto al governo cinese.
Gestione rischi sotto i riflettori
Le preoccupazioni di Pechino nei riguardi del sistema bancario sono testimoniate da ultimo dalla regolamentazione. emessa a fine anno, che richiede alle banche di separare dalla casa madre le attività di wealth management, che dovranno operare in autonomia, con responsabilità per i propri profitti e perdite, al fine di un migliore risk management. Si tratta di uno sviluppo di normative introdotte alcuni mesi prima a regolamentazione dello «shadow banking», finalizzate ad eliminare l’implicita garanzia delle case madri per i prodotti di wealth management. La transizione per l’industria delle gestioni (stimata da Caixin in 30mila miliardi di yuan a fine 2017) durerà fino alla fine dell’anno prossimo: tra i suoi scopi c’è anche un potenziale supporto al mercato azionario. I Big Four hanno già annunciato i piani per investire nelle loro nuove “filiali” che, da indipendenti, potranno anche agire con qualche restrizione in meno. Pechino, insomma, insegue delicati equilibri, tra irrigidimenti e liberalizzazioni, a volte in apparente contraddizione: anche il 2019 vedrà tensioni tra l’esigenza di ridurre i rischi sistemici e quella di sostenere una economia in frenata.
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