È arrivato il via libera del Tribunale di Roma al finanziamento concesso da Fortress ad Astaldi. E il titolo ha subito reagito in Borsa, tanto che a metà mattina saliva del 10,7% a 0,5625 euro.
La “linea di credito”, che prevede che il fondo di alternative lenders metta subito sul piatto 75 milioni di euro e conceda poi altri 125 milioni il prossimo 14 febbraio, era finita sotto la lente dei commissari, Stefano Ambrosini, Vincenzo Ioffredi e Francesco Rocchi, perché sulla carta sembrava offrire condizioni economiche meno interessanti rispetto a quella garantite da Sound Capital. Fortress avrebbe infatti chiesto un tasso del 16,1% (16% a due anni), contro il 14,1% per il primo anno (13% a due anni) dell’altro alternative lenders. Tuttavia, a valle di un approfondimento molto puntuale, dall’analisi comparativa è emerso che le due proposte, sebbene non perfettamente coincidenti, offrono ad Astaldi un profilo di discrezionalità che nei fatti la compagnia ha utilizzato quando in consiglio ha scelto il finanziamento di Fortress.
In altre parole, i giudici non hanno riscontrato alcun elemento ostativo e hanno messo il sigillo all’accordo. Intesa che a questo punto getta le basi perché possa procedere a passo spedito anche il salvataggio in continuità del costruttore. E in quest’ottica risulta essere un tassello chiave la scadenza del prossimo 20 gennaio. Per quella data dovranno infatti arrivare sul tavolo degli advisor, Vitale &co e Rothschild, le offerte vincolanti dei due soggetti in gara dopo che a dicembre scorso sono arrivate le manifestazioni di interesse della giapponese IHI e di Salini Impregilo. A questo punto l’attesa è che entrambi i contendenti si facciano avanti anche se al momento non è possibile dire nel dettaglio con quale schema d’offerta.
Le due proposte, poco dettagliate al momento della manifestazione d’interesse, sarebbero però leggermente differenti. Salini Impregilo opererebbe in cordata anche con Cdp e punterebbe a rilevare il portafoglio ordini del gruppo di costruzioni. A riguardo non è stato possibile avere indicazioni sul prezzo, aspetto dirimente in vista della presentazione delle offerte vincolanti. IHI, invece, ha in mentre tutt’altra strada. In particolare, la manifestazione d’interesse ricalcherebbe la struttura dell’intesa siglata con Astaldi prima della crisi che l’ha portata a chiedere il concordato. Nel dettaglio, i giapponesi punterebbero a entrare nella partita attraverso un aumento di capitale. Da capire se in una eventuale good company o se nella realtà esistente.
Sullo sfondo, intanto, continua a giocarsi una partita ben più ampia, ossia quella di un potenziale intervento di sistema per provare a rimettere in carreggiata l’intero settore costruzioni. Dopo Astaldi, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, Mantovani, Trevi e Cmc molti osservatori da tempo auspicano una manovra che vada ben oltre il tamponare le singole emergenze. Il comparto richiederebbe una revisione profonda che permetta di superare il limite dell’eccessiva frammentazione. Ne è un esempio anche il declino del settore costruzioni nel mondo delle Coop. Nel 2011, come sottolineato da Il Sole 24 Ore lo scorso 5 gennaio, erano sei i colossi del mondo delle coop che stazionavano stabilmente nella classifica dei più grandi costruttori del paese: CCC, CMC Ravenna, CMB di Carpi, Unieco, Coopsette e CESI. Oggi se ne conta appena una: CMB. Le altre, ossia CCC, CMC, CESI, Unieco e Coopsette, hanno dovuto invece reinventarsi oppure affrontare le procedure concorsuali. L’esito è che ad oggi se si guarda il ranking dei primi 50 costruttori d’Italia quelle che hanno la forma di cooperativa si contano sulle dita di una mano. Eppure il comparto ha sempre rappresentato uno dei pilastri chiave del mondo cooperativo. Così come il settore delle grandi opere e del mattone in generale è sempre stato un traino chiave per il paese. Oggi il quadro è ben diverso. Ma perché si possa anche solo immaginare un intervento di sistema servirebbe un interlocutore forte, politico e istituzionale, che spinga le parti a mettersi a un tavolo per definire un progetto di rilancio. Partendo magari dalla realizzazione di una bad company che metta a fattor comune le debolezze del settore, in primis l’elevata leva finanziaria, liberando le potenzialità che ancora oggi può esprimere. Fondamentale, in quest’ottica, sarebbe un reale stimolo esterno oltre che l’impegno dei grandi creditori.
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