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Guglielminotti: «Bene i capitali, ora servirà…

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Guglielminotti: «Bene i capitali, ora servirà un’offerta adeguata»

Electro Power Systems era destinata alla chiusura. Oggi è quotata alla Borsa di Parigi e vale 180 milioni di euro. Cos’è successo in questi cinque anni? Nell’ottobre del 2013 l’incarico di liquidare la società, nata da uno spin off del Politecnico di Torino, era stato affidato a Carloalberto Guglielminotti, che nell’azienda vide del valore e convinse i fondi di 360° Capital Partners ed Ersel a reinvestire. «La tecnologia sviluppata dalla società aveva un potenziale enorme ma era stata sbagliata l’applicazione al settore delle tlc. Se applicata al settore dell’energia avrebbe potuto avere successo e i fondi mi diedero fiducia», commenta Guglielminotti, che ereditò un’azienda in cui erano stati investiti oltre 18 milioni ma senza esiti (fino ad allora) positivi.

Nel maggio 2014 l’uscita dal concordato: «Siamo ripartiti da zero nel 2014 con il patrimonio di brevetti e un investimento ponte da 3,3 milioni per poter arrivare all’Ipo». A quel punto servivano capitali, tanti, e le scelte erano due: cercare un fondo di venture capital in grado di investire 40-50 milioni oppure scegliere lo sbarco in Borsa. «In Italia e in particolare nei fondi di venture capital la liquidità non c’era per investire in una startup con una storia travagliata, che voleva rivoluzionare il mercato dell’energia» ricorda Guglielminotti, proseguendo: «Per la quotazione, invece, abbiamo guardato all’estero perché volevamo quotarci su un mercato regolamentato e quindi l’Aim non era il listino per noi. Ma non potevamo quotarci sul listino principale di Piazza affari a causa dell’Ebitda (margine operativo lordo, ndr) negativo. In Italia non avrebbe potuto farlo neppure Tesla».

Arrivò così la scelta di Parigi. «I nostri competitor sul mercato sono tutti grandi gruppi industriali, come Siemens, ABB e GE. La nostra sfida più grande era la credibilità, che ci poteva dare solo il mercato regolamentato». L’operazione di Ipo, nata da 35 milioni, si è poi chiusa a 15 : «Il mercato si è girato durante il road show e abbiamo dovuto ridurre l’offerta». Nel 2016 l’azienda raccoglie altri 4,7 milioni per acquisire uno spin off del Politecnico. In 3 anni la capitalizzazione da 55 milioni è arrivata a 180 milioni.

Nel 2018 l’interesse di un industriale, Engie, che ne ha rilevato il 60%, con un’Opa per il delisting andata a vuoto. «In 5 anni abbiamo raccolto 90 milioni tra debito ed equity. Oltre ai venture capital abbiamo ricevuto una linea di credito da 30 milioni da Bei e un finanziamento a lungo termine da Intesa Sanpaolo» ricorda Guglielminotti, che sottolinea come «In Italia la liquidità dei venture capital non è sufficiente per finanziare le startup industriali a un livello adatto alla settima potenza industriale al mondo. Ritengo che serva un maggior spirito imprenditoriale in Italia, che non si può creare con le leggi e i governi ma con il sistema Paese e la cultura del fare impresa. Sta migliorando molto e città come Milano guidano il cambiamento. Ma un fallimento in Italia resta ancora uno stigma».

Oggi Engie Eps conta 105 dipendenti di 14 nazionalità diverse, il 30% dei quali ha un Phd in ingegneria elettrica o un Mba. La quotazione a Parigi ha portato con sé anche il trasferimento della sede legale: «Rimanere con la sede in Italia era possibile, ma più complesso e costoso». E da Oltralpe Guglielminotti guarda alle novità normative italiane: «Visto il testo di legge bisognerà ora capire i decreti attuativi. I capitali, pari al 15% degli utili delle partecipate statali riversati nei fondi di venture capital, saranno positivi per lo sviluppo dell’ecosistema ma sarà necessario anche avere un’offerta adeguata di startup e di imprenditori in cui investire. Di certo la direzione è quella giusta».

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