La prima volta che a Piazza Affari si parlò di un matrimonio tra Impregilo e Astaldi risale a dieci anni fa, in una saletta di Palazzo Mezzanotte dove Astaldi aveva incontrato gli investitori nel corso di una delle tante Star Conference organizzate dalla Borsa Italiana. Allora Paolo Astaldi, il patron dell'impresa di costruzioni, aveva vagheggiato l’idea di una unione.
Allora era la Impregilo, senza Salini, che usciva dalla sfortunata gestione di Cesare Romiti ed era in mano alla terna composta da famiglie Benetton, Gavio e da Salvatore Ligresti. Sarebbe stato un matrimonio tra pari che avrebbe creato un “campione nazionale”. Dieci anni dopo il campione nazionale c'è già, è Pietro Salini, ormai unico vero dominus delle grandi opere in Italia, che si prende Astaldi, lanciando una ciambella di salvataggio: da 4 mesi l’azienda è in concordato e oggi deve presentare un piano al Tribunale per convincere i giudici che è ancora in grado di stare in piedi. Al momento l'unico modo per non finire in dissesto, è accettare l'offerta di Salini, l’unica arrivata, sebbene al fotofinish (e in questo c'è stata probabilmente un po' di tattica da parte del “cavaliere bianco”) dopo che pure i giapponesi di IHI, storici alleati di Astaldi, si sono tirati indietro all'ultimo momento.
In soli sei mesi, lo scenario per Astaldi si è ribaltato: la scorsa estate l’azienda, che già era in forte difficoltà dopo il crack del Venezuela, rassicurava il mercato di poter risanare tutto vendendo il Ponte sul Bosforo e raccogliendo capitali di minoranza in Borsa. Invece nulla di tutto ciò è successo e oggi di fatto finisce la storia di Astaldi: diverrà un pezzo dell’impero di Salini.
Il risultato, sebbene imposto dagli eventi, leggi la drammatica crisi dell'industria delle costruzioni che in Italia ha falcidiato decine di aziende (Condotte e Trevi su tutte), finisce lo stesso per avere una valenza strategica per il Paese: quello che è già di gran lunga il numero uno delle costruzioni (6,5 miliardi di ricavi ) si unisce al numero due. E così diventa ancora più grande: la futura Salini-Impregilo-Astaldi arriverà a 10 miliardi di ricavi e lavori per oltre 50 miliardi (dati pro-forma). Per un certo verso l'Italia diverrà ancora più competitiva nel mercato globale dei costruttori, dove se la giocano colossi come la spagnola Acs-Dragados di Florentino Peres (più noto al grande pubblico per essere il presidente del Real Madrid), i cinesi di CSCEC e gli americani di Bechtel.
I romani prenderanno il controllo di Astaldi, anch'essa quotata in Borsa, con un aumento di capitale da 225 milioni dove, alla fine, Salini avrà il 65% di Astaldi (non ci sarà nessuna Opa, perché è un caso di crisi aziendale). Difficile che la famiglia Salini mantenga due società dello stesso gruppo quotate a Piazza Affari (famiglia che peraltro aveva già in mente di traslocare a Wall Street), ma un'eventuale fusione è ipotesi ancora lontana nel tempo.
Prima c'è da affrontare il nodo del debito di Astaldi: sono 2 miliardi tra banche, obbligazionisti e fornitori e vanno rimborsati in qualche modo. Proprio su questo punto, si sono spese le maggiori trattative tra Salini e le banche (che peraltro avevano già provveduto a svalutare in modo pesante i crediti verso Astaldi). Se ne occuperà una sorta di bad company dove verranno segregate le concessioni (a partire proprio dal dibattuto Ponte sul Bosforo). La ricapitalizzazione servirà in parte a rimborsare i creditori privilegiati, mentre a quelli di rango inferiore Salini offre titoli Astaldi. Banche e obbligazionisti arriveranno ad avere oltre il 25% della società romana. Al mercato sembra piacere la proposta: le azioni Astaldi balzano del 10% (ma hanno perso il 90% dall'anno scorso) mentre i bond risalivano del 5% (ma quotano 23, ossia un prezzo da default in linea con il probabile recovery rate).
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