Barrick Gold non ha perso tempo. Aveva ammesso solo venerdì di aver rispolverato l’ambizione di conquistare Newmont Mining. Detto, fatto. La scalata da 18 miliardi di dollari, che darebbe vita a un colosso senza rivali nel settore dell’oro, è cominciata. E fin dal primo momento è ostile: molto ostile visto che la preda – da sempre recalcitrante di fronte alle avances dei canadesi – oggi rischia anche di veder naufragare la “sua” fusione, quella concordata a gennaio con Goldcorp.
Il ceo di Barrick, Mark Bristow, ha liquidato il deal degli statunitensi in modo sprezzante, definendolo «distruzione di valore» e affermando che «priverebbe gli azionisti dell’opportunità di partecipare a una delle poche operazioni di M&A logiche a disposizione nella nostra industria»: il matrimonio tra Barrick e Newmont ovviamente, in grado di generare 1 miliardo di sinergie (quasi tutte nel Nevada) e consolidare un gruppo da oltre 40 miliardi, il quadruplo rispetto al più vicino concorrente in termini di capitalizzazione, attualmente Agnico Eagle Mines.
La produzione di oro, più di 10 milioni di once l’anno, sarebbe più che doppia rispetto a quella di AngloGold Ahanti, oggi numero tre per capacità estrattiva, dopo Barrick e Newmont.
«È un disperato e bizzarro tentativo di far saltare la nostra operazione», ha denunciato Gary Goldberg, ceo di Newmont, che in passato aveva già personalmente respinto altri assalti da parte del gruppo rivale. «Di certo non è il genere di comportamento che farà breccia su investitori che intendono investire in società serie e ben gestite».
A sollevare l’indignazione del manager è soprattutto l’approccio irrituale e aggressivo dei canadesi, evidentemente decisi a conquistare ad ogni costo la società dopo l’ultimo clamoroso flop del 2014.
Barrick si è rivolta direttamente al board di Newmont con una lettera aperta in cui ha illustrato i dettagli della proposta, esortando i consiglieri ad appoggiarla: una mossa che ha scavalcato Goldberg e gli altri dirigenti della società, rinunciando a esplorare l’eventuale disponibilità a trattative amichevoli.
L’offerta peraltro non è delle più allettanti. Barrick, come aveva anticipato, non intende sborsare contanti per Newmont, né attribuirle alcun premio sulle valutazioni di Borsa. Ai corsi attuali, la rileverebbe anzi a sconto: sul piatto ha messo 2,5694 azioni proprie per ogni azione Newmont, valutandole implicitamente 33,5 dollari l’una, per un totale di 17,8 miliardi di dollari, l’8% in meno rispetto alla capitalizzazione di venerdì. L’acquisto consegnerebbe agli attuali soci di Barrick il 55,9% del nuovo gruppo.
I canadesi si stanno preparando a dare battaglia senza esclusione di colpi. Nel weekend è emerso che hanno già acquistato sul mercato 1.000 azioni Newmont, una piccola quota (meno dell’1% del flottante), che però consentirà di portare due mozioni alla prossima assemblea dei soci: una per abbassare dal 25 al 15% il quorum per la convocazione di assemblee straordinarie e una per respingere ogni modifica allo statuto successiva al 24 ottobre 2018.
L’interpretazione prevalente è che si tratti di strumenti con cui forzare un ricambio del cda nel prossimo futuro e impedire l’adozione di «pillole avvelenate» che ostacolino la scalata.
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