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EssilorLuxottica, cosa può succedere dopo lo scontro: dalla revisione dei patti alla revoca del cda e all’Opa

(Ansa)
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Lo scontro al vertice diEssilorluxottica tra le due anime del gruppo, quella italiana di Leonardo del Vecchio e quella francese di Hubert Sagnières, ha già avuto un immediato effetto in Borsa con le azioni finite ai minimi storici.

Il mercato teme possibili ritardi sulle sinergie, stimate tra 420 milioni e 600 milioni al 2021, ma soprattutto che l’intera impalcatura dell’accordo, così come pensata e scritta, possa ora crollare.

La Delfin di Leonardo Del Vecchio da un lato e Sagnierés di tutta risposta hanno tirato in ballo i patti scritti in occasione della fusione fra i due gruppi. Accordi che disegnano una governance paritetica, con uguali poteri e stessi rappresentanti in cda (8 a testa) per il fronte francese e quello italiano, ma che secondo entrambi gli attori sarebbero stati ora violati. In un primo momento la parte Essilor aveva fatto sapere di essere “costernata” dalla mossa di Del Vecchio, ma poi si è capito subito che la partita ha dinamiche più strette. Sagnierés, a stretto giro, ha esplicitamente detto che Delfin «vuole cambiare l’equilibrio dei poteri definito negli accordi per l’integrazione», con un tentativo di fatto di prendere il controllo del nuovo gruppo, senza però voler pagare un premio ai soci di minoranza.

Gli scenari. In questo quadro, quali sono i possibili sviluppi per il futuro del gigante dell’occhialeria? Secondo i consulenti e gli addetti ai lavori, le opzioni sono limitate e l’impressione è che la vera partita si giocherà presto in assemblea. Vediamo perché.

Il punto di partenza è il peso di italiani e francesi nel libro soci. Il vero problema per Sagnierés è che Del Vecchio possiede oltre il 32% delle azioni e il 31% dei diritti di voto di EssilorLuxottica, mentre il secondo azionista del gruppo, cioè i manager e i dipendenti Essilor, è poco sopra il 4%. Il resto del capitale, dunque, circa il 60% è nelle mani del mercato, vero arbitro della partita italo francese.

A) Revisione dei patti. Escludendo che la fusione difficilmente possa essere rimessa in discussione, data la complessità della stessa, il primo scenario, è che si arrivi a un compromesso, magari inserendo nell’organigramma della holding, non necessariamente nel ruolo di ceo, l’ex capoazienda di Luxottica Francesco Milleri, come richiesto da Del Vecchio a più riprese, in cambio di “concessioni” al fronte francese su altri temi. Tanto più che, si racconta, l’imprenditore si è opposto all’ultimo board della holding alla nomina della società di head hunter che sarà chiamata a selezionare il ceo del colosso.

Ricapitolando, dunque, rivedere, seppur parzialmente, quegli accordi di attuazione della fusione attraverso aggiustamenti che permettano di trovare un certo equilibrio, almeno fino alla primavera del 2021 (quando scadono i patti) nell’alleanza tra le due società.

B) Risarcimento danni. In assenza di accordi consensuali è evidente che la strada legale potrebbe essere intrapresa da entrambi gli attori in campo. Tuttavia in questi casi, se i patti parasociali sono stati violati, un giudice non può forzare l’adempimento degli stessi, piuttosto il campo di riferimento è legato a una eventuale richiesta di risarcimento danni. Se Del Vecchio o il vicepresidente francese dovessero optare per una soluzione di questo tipo, senza possibilità di ridiscutere l’accordo, il passaggio successivo con ogni probabilità sarà l’assemblea.

C) La mozione di revoca del cda. Sulla carta, contestati gli accordi parasociali, la Delfin forte della quota del 32% ma con diritti di voto bloccati al 31%, potrebbe richiedere la convocazione di una assemblea per votare la mozione di revoca dell’attuale consiglio di amministrazione. Un appuntamento a cui Del Vecchio potrebbe presentarsi anche più forte rispetto all’attuale posizione azionaria. Gli operatori fanno notare che arrotondare la quota in Essilor Luxottica, sempre tenendo ben presente i limiti della legislazione francese in tema di Opa, è vero che non si traduce in un incremento dei diritti di voto, bloccati da statuto al 31%, ma fa crescere in modo indiretto il peso di quel 31% sul capitale sociale della holding (non più 100, ma 90 se Delfin o operatori vicini rastrellassero una quota dell’8%). Insomma Del Vecchio potrebbe evidentemente votare in modo decisivo in assemblea, ripristinando così anche nel board i reali pesi azionari. Il risultato finale, però, come dimostra il caso Vivendi Tim non è scontato, e tutto dipenderà dal voto del mercato.

D) Il rischio dell’Opa obbligatoria. D’altro canto c’è chi fa notare che Delfin deve muoversi in modo cauto in questa partita. I francesi guidati dal vicepresidente Sagnierés se dimostrassero che è Del Vecchio a voler riequilibrare gli accordi a suo favore potrebbero richiedere l’intervento della Amf, la Consob francese, per verificare se esistono gli estremi per costringere Delfin a un’Opa obbligatoria assai onerosa.

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