Si è chiuso un trimestre brillante per le Borse globali, come non se ne vedevano dal 2012. La capitalizzazione mondiale è passata da 70mila a 78mila miliardi di dollari. L’indice Msci all country world index è salito dell’11%, massimo da 7 anni. Per l’indice S&P 500 di Wall Street, in progresso di oltre 12 punti percentuali, si è trattata della migliore partenza dal 1998 e del miglior trimestre dal 2009. In Europa la maglia rosa va a Piazza Affari che in tre mesi (+15,95%) ha praticamente recuperato il ribasso accumulato nel 2018 (-16,5%) e ha superato il calo dell’ultimo quarto (-11,5%). Per trovare un inizio migliore bisogna tornare al 1998 quando in tre mesi la Borsa milanese guadagnò il 41%. Non ci sono però rossi nei monitor azionari su scala globali. Francoforte è salita del 9%, Parigi del 13% e Londra - ancora in pieno caos Brexit dopo che ieri il Parlamento ha bocciato l’accordo con l’Ue raggiunto dal premier May - è salita del 12,7%. Per le Borse cinesi - che avevano chiuso il 2018 con la peggior performance dal 2009 - il recupero è straripante: l’indice Csi si è apprezzato in valuta locale del +28%. Anche la vicina Tokyo è salita, ma meno(+6%) complice la robustezza dello yen.
Il rialzo corale dei listini azionari contrasta con la macroeconomia: le previsioni concordano infatti su un rallentamento della crescita mondiale dal 3,7% al 3,5% con alcune aree, come l’Eurozona, dove il rallentamento dovrebbe essere più marcato, dall’1,7% all’1,1%. Eppure gli investitori hanno acquistato azioni. Come mai? Gli stessi fattori che hanno messo in ginocchio i listini nell’ultima parte del 2018 - un atteggiamento meno morbido delle banche centrali e l’escalation della guerra commerciali tra Usa e Cina - sono quelli che hanno dato illà a questo mini rally azionario. Le banche centrali sono state “costrette” a fare dietrofront. La Bce (7 marzo) ha spostato i tempi del prossimo rialzo dei tassi annunciando che discorsi di questo tipo sono rimandati al 2020. La Fed (20 marzo) ha ribaltato la politica monetaria: non solo non alzerà i tassi di 50 punti base come previsto ma interromperà dal prossimo autunno la riduzione del bilancio. Quest’ultimo punto (il drenaggio della liquidità attraverso il mancato reinvestimento di una parte dei titoli in scadenza nel portafoglio Fed) è divenuto negli ultimi mesi ben più importante dei tassi. Tanto che proprio l’avvio della riduzione del bilancio (ottobre) innescò la forte correzione di Wall Street di fine 2018. Quanto al secondo potente market mover, la guerra commerciale, è vero che non è stato ancora raggiunto un accordo. Ma il clima si fa via via più disteso: proprio ieri il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin ha definito «molto produttivo» il lavoro svolto nelle ultime ore con il vicepremier cinese Liu He. La notizia positiva per le Borse è che, al netto della partenza sprint del primo trimestre, i multipli non sono esageratamente cari. In questo momento a livello globale (indice Msci all country world index) il rapporto tra prezzo e utili stimati per il 2019 è 16,7 volte e il dividend yield intorno al 2,5%.
È stato un trimestre straordinario anche per il petrolio che archivia la miglior performance dal 2009. Il Brent si è apprezzato del 32% e il Wti del 28%. E questo nonostante gli ultimi tweet del presidente degli Usa Donald Trump con cui accusa i Paesi produttori di mettere a rischio la crescita economica globale tenendo alti i prezzi. Ha quasi azzerato invece i guadagni da inizio anno (+1%) l’oro. Il clima di appetito al rischio ha favorito le azioni che hanno recuperato capitali dai beni rifugio. Ma non va dimenticato che lo scenario che si va profilando per via delle nuove politiche espansive delle banche centrali - tassi bassi a lungo, come conferma il calo mensile dei rendimenti del Bund più ampio dal 2016 - tecnicamente sarebbe favorevole al metallo giallo. Lo stesso scenario ha fatto sì che anche per le obbligazioni (lato prezzi e non rendimenti che si muovono in direzione opposta) quello appena messo alle spalle sia stato un trimestra straordinario: la capitalizzazione globale delle obbligazioni è salita a 52mila e 500 miliardi, in rialzo di 2.500 miliardi rispetto alla notte di San Silvestro.
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