Gli scontri in Libia hanno accelerato il rally del petrolio, che martedì 9 aprile si è spinto a nuovi massimi prima di cedere a fattori ribassisti. Il Brent ha raggiunto un picco di 71,34 dollari al barile, il Wti ha toccato quota 64,79 dollari, in entrambi i casi un record da novembre scorso, salvo poi cedere circa mezzo punto percentuale verso fine seduta. Le forze del generale Khalifa Haftar sono vicine a conquistare Tripoli, ma i combattimenti – che hanno provocato una cinquantina di morti – per ora non minacciano le installazioni petrolifere, né i flussi di gas dal Paese.
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La compagnia Noc ha convocato i partner nel Paese per mettere a punto un piano di sicurezza che consenta di non interrompere la produzione. Ma la possibilità un calo dell’offerta è reale e far invertire la rotta ai mercati petroliferi, mandando in ribasso le quotazioni del barile, sono stati altri eventi. Preoccupano le relazioni commerciali Usa-Europa, dopo la minaccia di dazi da parte di Donald Trump: un’escalation che ha pesato anche sulle borse. Per il petrolio, un forte impatto negativo hanno avuto anche le dichiarazioni del presidente russo Vladimir Putin, che dopo giugno sembra orientato a interrompere il taglio della produzione di greggio. «Siamo pronti a cooperare con l’Opec – ha affermato il capo del Cremlino – ma non sono pronto a dire se ci saranno tagli o solo una stabilizzazione dell’output ai livelli attuali». Putin ha aggiunto che Mosca non vuole «una salita incontrollata dei prezzi» e che l’attuale valore del greggio risponde ai suoi interessi.
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