Le chiamano Zombie Airlines, sono quelle compagnie aeree che sopravvivono nonostante le difficoltà finanziarie, aiutate dal sostegno degli Stati che vogliono un national carrier a tutti i costi, oppure anestetizzate da investitori privati disposti a continuare ad immettere liquidità nella speranza che la situazione migliori. Spesso la situazione non migliora e i vettori finisco per portare i libri in tribunale. Perché sopravvivere in questo mercato irto di competitor agguerriti e dove i margini si stanno riducendo a causa dell’aumento dei costi del petrolio e del personale, è sempre più difficile.
Nell’ultimo anno l’elenco dei vettori Zombie falliti è sempre più numeroso (ne sono falliti 14 dal 2018), soprattutto piccole compagnie low-cost europee e regionali che non hanno retto la concorrenza. Il primato va alla danese Primera Air il cui modello di low cost a lungo raggio non è stato sufficiente a riportare in nero il bilancio e lo scorso ottobre ha fermato i motori dopo un mese dal lancio dei nuovi voli per gli Stati Uniti; oppure l’islandese Wow rimasta a terra nonostante il tentativo di acquisizione da parte di Island Air, la principale compagnia dell’Islanda o la cipriota Cobalt Air e la belga VLM.
Non è facile prevedere quali compagnie aeree falliranno, tuttavia ci sono segnali che non sfuggono agli analisti dai bilanci in sofferenza, ai costi elevati, alle flotte âgée. Come nel caso della compagnia inglese low cost Monarch e della regional Flybmi: entrambe non hanno retto la concorrenza di un mercato interno che si sta consolidando intorno ai grandi nomi easyJet e Ryanair. Occhi puntati su un’altra compagnia regionale inglese la Flybe che ha emesso un profit warning sui propri conti, attenendosi una perdita di ben di 12 milioni di sterline quest'anno, dopo un rosso di 19,2 milioni di sterline lo scorso anno. Sul mercato c’è anche il vettore charter Tui messo in vendita dall’operatore Thomas Cook per la necessità di fare cassa.
Dal Regno Unito alla Germania dove oltre ad Air Berlin (acquisita da Lufthansa), i Tedeschi hanno perso Germania il vettore specializzato nel turismo e la low cost Azur Air a cui si sono aggiunte nel frattempo la lituana Small Planet Airlines e la svizzera Skywork.
Non ce l’ha fatta la compagnia indiana Jet Airways che dopo mesi di trattative con le banche alla ricerca di un partner e in subordine di un prestito, ha dovuto cancellare tutti i voli nazionali e internazionali dallo scorso 18 aprile, nell’attesa della «finalizzazione dell'offerta da parte di SBI (State Bank of India) e del consorzio dei finanziatori indiani» si legge in un comunicato. Jet Airways insieme ad Air Berlin e Niki (oggi Laudamotion), Air Serbia, Air Seychelles e Virgin Australia, faceva parte del network di Etihad Airways, la compagnia emiratina con sede ad Abu Dhabi, entrata con il 49% anche in Alitalia, quest’ultima ancora alla ricerca di un partner.
Il caso Jet Airlines è soltanto l’ultimo di una serie destinata ad aumentare. Quando una compagnia fallisce succede che il brand sparisce e le compagnie più grosse si spartiscono gli asset. E’ successo così per Air Berlin dove Lufthansa e easyJet si sono ripartite gli slot. Per Monarch è stata IAG a vincere la lotteria degli slot a Gartwich aggiungendo la partecipazione in Norwegian Airways, sua rivale sulle sue rotte transatlantiche, una mossa che doveva preludere a un’acquisizione che è stata respinta.
Il processo in corso anticipa la fase di consolidamento che vede protagoniste le principali compagnie come IAG (British Airways e Iberia), Lufthansa group e Air France-KLM e tra le low cost Ryanair, easyJet e Wizz Air: negli Usa dopo la fase di fusioni e acquisizioni oggi le prime quattro compagnie controllano l’80% del mercato domestico. In Europa al contrario, le prime 10 compagnie si ripartiscono il 70% del Vecchio Continente.
L’euforia di questi ultimi dieci anni di crescita con gli utili in continua salita, ha spinto nuovi soggetti a tentare l’avventura aumentando in modo eccessivo il numero degli attori sul mercato destinati a diminuire in questa nuova fase di consolidamento che, secondo gli analisti, è probabile assumerà al forma di partnership, joint venture e partecipazioni piuttosto che fusioni e acquisizioni.
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