Gli interessi dell’Arabia Saudita contrastano con le richieste di Donald Trump di aumentare la produzione di petrolio in modo da farne calare il prezzo. Riad ha infatti bisogno che il barile scambi a 85 dollari – contro gli attuali 72 dollari circa – per far quadrare il bilancio dello Stato nel 2019. La stima è stata appena pubblicata in un rapporto del Fondo monetario internazionale.
Alla Russia, alleata dei sauditi nei tagli produttivi, bastano invece 40 dollari. Anche questo aspetto potrebbe contribuire a spiegare la riluttanza di Mosca nel limitare a lungo le estrazioni di petrolio. Tra i Paesi membri dell’Opec ha senz’altro le mani più libere il Kuwait, per cui sono sufficienti 49 dollari al barile. Per gli Emirati arabi uniti e l’Iraq possono bastare circa 65 $, un livello di prezzo che fino a un paio d’anni fa andava bene anche all’Iran. Oggi Teheran avrebbe bisogno del petrolio a quasi 126 dollari al barile per raggiungere il pareggio di bilancio.
Le sanzioni Usa hanno sprofondato la Repubblica islamica in una crisi gravissima: l’economia secondo il Fondo monetario internazionale subirà una contrazione del 6% quest’anno, dopo il -4% del 2018, mentre l’inflazione è prevista oltre il 50%. Il prezzo di «breakeven» del petrolio (sempre in relazione al bilancio statale) secondo l’Fmi supera 100 dollari quest’anno anche per l’Algeria, Paese che sta attraversando un periodo di forte instabilità: per la precisione il livello indicato è 116,4 dollari. Per la Libia secondo il Fondo sono invece sono sufficienti 71,3 dollari al barile, contro i 102,8 dollari del 2017 e i 77,9 dollari del 2018.
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