La fusione tra le acciaierie europee di ThyssenKrupp e Tata Steel è saltata e i piani di riorganizzazione del colosso tedesco sono andati gambe all’aria, travolti non solo dalla severità dell’Antitrust Ue ma anche da l clima negativo che – tra guerre commerciali e crisi dell’automotive – ha di nuovo investito l’industria siderurgica.
Al momento non è chiaro se ci saranno conseguenze per le attività italiane del gruppo, cui fa capo Acciai Speciali Terni (Ast).
Thyssen ha estratto dal cappello un piano B, che nell’immediato ha mandato in visibilio il mercato: il titolo, che pochi giorni fa era ai minimi da 15 anni, si è impennato di quasi il 30% a Francoforte dopo che il gruppo ha rottamato non solo il deal con Tata, annunciato quasi due anni fa, ma anche il progetto di separare in due società indipendenti le attività metallurgiche da quelle in altri settori, che aveva fatto storcere il naso a molti azionisti.
Lo spinoff, ha annunciato ieri ThyssenKrupp, sarà invece limitato alla divisione che produce ascensori – di gran lunga la più redditizia, con oltre il 60% dei profitti del conglomerato – con l’obiettivo di quotarla in Borsa, senza sottrarre il controllo alla casa madre. L’Ipo è rinviata a un periodo più favorevole di quello attuale.
È stata soprattutto la commissaria europea alla concorrenza, Margarethe Vestager, a determinare l’ennesimo cambio di strategia del gruppo tedesco, in crisi da anni e sottoposto a pressanti richieste da parte di fondi attivisti (tra cui Elliott Management), che hanno già portato a diversi avvicendamenti nel top management.
Secondo indiscrezioni pubblicate pochi giorni fa dal Financial Times l’Antitrust di Bruxelles temeva che la fusione Thyssen-Tata, avrebbe dato vita al secondo gruppo siderurgico europeo dopo ArcelorMittal, riducesse la concorrenza tra fornitori di acciai piani, provocando rialzi di prezzo.
Ieri il ceo di ThyssenKrupp, Guido Kerkhoff, ha spiegato di aver offerto a Vestager «ulteriori significative concessioni» per convincerla ad approvare l’operazione, ma non è bastato. Le richieste erano così impegnative da «compromettere la logica economica della joint venture», che quindi è stata accantonata.
Si apre a questo punto un interrogativo sul futuro delle acciaierie europee di Tata, in particolare l’impianto di Port Talbot nel Galles e un altro in Olanda, pesante eredità della scalata degli indiani a Corus Group nel 2007, poco prima della recessione globale. Tata Steel, che ieri ha perso il 6,2% a Mumbai, per ora dice di voler «esplorare ogni possibile opzione» per mantenere aperte le acciaierie, migliorandone le performance.
Thyssen ha invece anticipato che il fallimento del deal e le modifiche al piano di riorganizzazione le faranno chiudere in rosso il bilancio, che prima prevedeva in utile. I licenziamenti in programma saliranno inoltre da 4mila a 6mila (di cui due terzi in Germania e un terzo nelle acciaierie).
Il gruppo di Essen soffre anche per la congiuntura negativa che, tra dazi Usa e frenata dell’industria manifatturiera,colpisce soprattutto la siderurgia europea.
ArcelorMittal giovedì ha peggiorato l’outlook sul Vecchio continente, affermando di non attendersi più una crescita dei consumi di acciaio bensì una contrazione dell’1%. Nei giorni scorsi aveva accusato Bruxelles di non aver predisposto misure di salvaguardia sufficienti a contrastare l’effetto dei dazi e annunciato che avrebbe tagliato di 3 milioni di tonnellate la produzione nella Ue (ossia il 7%), fermando impianti in Spagna e Polonia. Gli aumenti produttivi previsti per l’Ilva sono stati rinviati.
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