Prima ancora di debuttare sul mercato italiano per gli Eltif, ovvero i fondi europei a lungo termine, si profilerebbe un futuro già roseo. Merito dell’emendamento al Decreto Crescita (firmatario l’onorevole leghista Giulio Centemero che ha anche seguito la nascita dei Pir di 2°generazione), che sarà presentato oggi in Parlamento. Questo stabilisce per i sottoscrittori degli Eltif (inclusi anche i fondi comuni che investono integralmente in Eltif) un doppio vantaggio fiscale. Da un lato, è prevista l’esenzione sui redditi di capitali (così come per i Pir) dall’altro le persone fisiche potrebbero contare su una deduzione ai fini Irpef pari al 30% della somma investita negli stessi fondi. E sempre pari al 30% è la deduzione ai fini Ires consentita alle persone giuridiche. Misure che vanno lette alla luce della finalità del regolamento UE2015/760 che li ha istituiti secondo il quale gli Eltif sono un mezzo per «mobilitare e convogliare capitali verso investimenti europei a lungo termine nell’economia reale, in linea con l’obiettivo dell’Unione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva». Insomma, vantaggi fiscali per creare un circolo virtuoso verso l’economia reale.
L’altra novità è che per l’investitore si apre la strada ad un asset class prima riservata solo agli istituzionali.
«Il possibile vantaggio fiscale di cui si parla potrebbe aumentare l’interesse verso uno strumento che sta già riscuotendo consensi» - sottolinea Massimo Mazzini, direttore marketing di Eurizon Capital, società che ha lanciato sul mercato per prima un Eltif per privati e istituzionali. «Crediamo che l’Eltif sia uno strumento complementare ai Pir perché consente di investire su un universo più ampio di Pmi e su un’orizzonte temporeale di lungo periodo che stabilizza l’investimento - aggiunge Mazzini - in quanto fondo chiuso con una durata di 7 anni e nel quale possono rientrare secondo le nostre analisi sui segmenti Mta e Aim oltre 200 titoli, pari a circa 20 miliardi di capilizzazioni». Il secondo Eltif è arrivato sul mercato il 28 marzo per iniziativa dell’americana Muzinich con Cordusio Sim.
Attenzione, le agevolezioni previste ricorrono solo a certe condizioni: mantenere l’investimento per almeno 5 anni o un’uscita anticipata se si trasferiscono le quote integralmente in un altro Eltif o fondo comune compliant; per l’Eltif un patrimonio non superiore ai 200 milioni e investito almeno al 70% in imprese italiane.
Ecco dunque che il fondo di Muzinich (ora in fase di raccolta) sarebbe ad esempio escluso perché «è un fondo Pan Europeo nato per avere un portafoglio dinamico che investe in prevalenza in syndicated loan, private debt e private equity - spiega Filomena Cocco, direttore del marketing europeo -. Ma in quanto strumento efficiente di fronte a possibili evoluzioni normative il portafoglio potrebbe adeguamente essere ricalibrato. Oppure potremo pensare a nuove soluzioni focalizzate sull’Italia».
«Accoglieremmo con grande favore un incentivo fiscale agli Eltif - aggiunge Sergio Zocchi, ceo di October Italia, piattaforma di P2P Lending per il finanziamento alle imprese, che ha passportato tre Eltif francesi ma solo per gli istituzonali.
Chi agevolerebbe questa misura? Certamente non i piccoli investitori ma chi, per disponibilità e cultura finanziaria, può rischiare di più e avere un portafoglio diversificati anche con Eltif. «Il nostro Eltif ha un taglio minimo di 100mila euro ma anche se ne avesse uno da 10mila, riteniamo che l'Eltif non possa rappresentare più del 10% del portafoglio complessivo di un cliente - aggiunge Mazzini - l'investitore al quale pensiamo è un soggetto informato che conosce tutte le caratteristiche di un investimento illiquido. Lo vediamo bene per la clientela private e per gli istituzionali».
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