La partita tra il governo italiano e la Commissione europea sulla legge di bilancio 2019 è stata durissima. Ma potrebbe essere ricordata come una passeggiata se paragonata al confronto che si annuncia sulla manovra di quest’anno. Tra i 23 miliardi di clausole Iva da disinnescare, rinnovo degli statali, correzione del deficit e altre voci ci sarà da negoziare una manovra da almeno 35 miliardi. Una cifra monstre a cui bisognerà aggiungere i fondi necessari a finanziare gli ambiziosi piani di riduzione delle imposte (flat tax) dell’esecutivo giallo-verde.
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La partita insomma si annuncia durissima e le recenti dichiarazioni di Salvini, tornato a invocare lo sforamento del vincolo del 3% sul deficit (con i prevedibili effetti sullo spread), sono un primo segnale della conflittualità che anche quest’anno, con ogni probabilità, caratterizzerà il negoziato con la Ue sui conti.
Se Salvini è tanto combattivo è anche perché è convinto che un’affermazione della Lega e di altri partiti sovranisti alle elezioni europee contribuirà a cambiare il volto della Commissione rendendola più incline ad accettare un compromesso sul budget dell’Italia. Ma è proprio così? I gestori chiamati da Il Sole 24 Ore ad esprimersi sulle implicazioni di mercato del voto di domenica non sono dello stesso avviso. Secondo Stephanie Kelly, political economist di Aberdeen Standard Investments, è difficile che la Commissione possa tollerare «la sregolatezza fiscale italiana». Una modesta indulgenza nella politica fiscale da parte della Commissione è da mettere in conto ma per l’economista non basterà a evitare «un altro scontro tra Roma e Bruxelles ad ottobre».
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Ancora più pessimista Elliot Hentov, responsabile politico di State Street Global Advisors, secondo cui la frammentazione del panorama politico europeo che è prevista emergere dal voto spingerà «i partiti tradizionali a unire le forze contro le sfide dei populisti». Il che non giocherà certo a nostro favore: «Quando i problemi dell'Italia torneranno sotto i riflettori - spiega Hentov - ci saranno minori spinte verso soluzioni di compromesso».
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Per il gestore «gli atteggiamenti europei nei confronti dell'Italia saranno in conflitto con la volontà di non consegnare a Salvini ogni successo». Soprattutto qualora dovesse concretizzarsi lo scenario del voto anticipato in Italia, ipotesi che i continui litigi all'interno della maggioranza stanno avvalorando sempre di più e che, secondo alcuni gestori, potrebbe registrare un’accelerazione dopo il voto. C’è anche un altro scenario con cui gli investitori stanno facendo i conti: la formazione di una nuova maggioranza senza il ritorno al voto. Ciò potrebbe avere implicazioni non così negative per l’Italia secondo Reto Cueni, senior Economist di Vontobel Asset Management, specie nel caso in cui si arrivasse a una alleanza di centro-destra (con trasfughi di altri partiti). Uno scenario del genere - secondo il gestore - sarebbe favorevole per l’economia perché potrebbe comportare «un ammorbidimento delle posizioni euroscettiche della Lega la quale è, storicamente, vicina alle istanze delle piccole e medie imprese».
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Per i destini dell’Italia e la delicata partita economico-finanziaria con l’Ue sarà poi decisivo il negoziato sulle nomine del nuovo presidente della Commissione europea e del successore di Draghi alla guida della Bce. Ma se è vero che gli equilibri all’interno del Parlamento europeo sono destinati a condizionare il negoziato è anche vero che - come segnala Silvia dall'Angelo, senior Economist di Hermes IM - «la parola finale sulle nomine spetterà ai capi di governo e di stato europei, che con poche eccezioni, provengono dai partiti tradizionali». In altre parole: è improbabile che un’affermazione oltre le attese dei sovranisti possa risultare decisiva nel determinare i nomi di chi guiderà Commissione e Banca centrale nei prossimi anni.
Nell’immediato c’è da aspettarsi una reazione forte dei mercati (positiva o negativa) nel caso in cui l’atteso exploit dei sovranisti dovesse risultare rispettivamente inferiore o superiore alle aspettative. In attesa del voto sono ancora le schermaglie tra Usa e Cina sul tema del commercio a tenere banco. Un contesto che tende a sfavorire tutte le classi di investimento rischiose come le azioni (ieri i listini europei hanno perso attorno al 2%) o i titoli di Stato periferici come i BTp ieri penalizzati dalle vendite che, in parallelo con gli acquisti sui Bund, hanno fatto risalire lo spread oltre quota 275.
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