Prosegue la corsa dell'oro, che ha raggiunto i massimi degli ultimi 14 mesi, grazie alle preoccupazioni sulla salute dell'economia cinese e alle tensioni in Medio Oriente, che stanno indirizzando gli investitori verso gli asset sicuri. I future sono arrivati oggi a guadagnare l'1,2% a 1.359,50 dollari all'oncia, il massimo dall'aprile 2018.
L'oro, che ora ha parzialmente rallentato ed è sceso a 1.350 dollari all'oncia (+0,5%), va verso la dodicesima seduta positiva negli ultimi 13 giorni di scambi, dato che gli investitori credono che il rallentamento dell'economia mondiale finirà per danneggiare la crescita negli Stati Uniti, spingendo la Federal Reserve a tagliare i tassi d'interesse.
SCOPRI DI PIÙ / L’oro è di nuovo bene rifugio
I mercati sono sempre più convinti che la Federal Reserve taglierà i tassi di interesse quest'anno, due se non addirittura tre volte, e la discesa del costo del denaro è uno dei fattori più favorevoli in assoluto per il metallo prezioso, che com'è noto non stacca cedole.
Altre notizie di oggi, sul fronte macroeconomico, hanno spinto le quotazioni dell’oro. L'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) ha tagliato per la seconda volta consecutiva le previsioni di crescita della domanda di petrolio, segnalando che la decisione si deve al rallentamento generale dell'economia. La stima ora è di 1,2 milioni di barili al giorno per il 2019, cioè 100.000 in meno di quanto atteso prima (dopo il taglio di 90.000 barili un mese fa). Il primo trimestre è stato particolarmente fiacco, specie in Giappone, Europa e Usa. In ogni caso, per ora l'Aie resta ottimista sulla seconda parte dell'anno, per le prospettive di crescita e i negoziati commerciali tra Cina e Usa.
Proprio dalla Cina giungono segnali di rallentamento. La produzione industriale in Cina frena a maggio e sale del 5% annuo, a fronte del 5,4% di aprile e del 5,5% atteso degli analisti: il dato, diffuso dall'Ufficio nazionale di statistica a mercati di Borsa chiusi e con cinque ore di ritardo sulla tempistica tradizionalmente seguita, sconta le turbolenze commerciali con gli Usa e rappresenta il passo più lento dal 2002.
A spingere le quotazioni del lingotto ha contribuito anche la tensione sul caso del danneggiamento di due petroliere nel Golfo dell'Oman (appena fuori il Golfo Persico), nei pressi dello strategico stretto di Hormuz: il secondo attacco a cargo petroliferi nel giro di un mese nella regione, in coincidenza con un periodo di pericoloso inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Iran.
© Riproduzione riservata