Finanza & Mercati

Il nodo dei prestiti subordinati fra mercati e rischi di stabilità

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L'Analisi|il focus

Il nodo dei prestiti subordinati fra mercati e rischi di stabilità

Chi sottoscrive un prestito subordinato, in maniera consapevole, si espone a un rischio più elevato rispetto all'obbligazione senior non subordinata. Chi acquista uno strumento ibrido di patrimonializzazione Upper Tier 1 corre rischi ben maggiori del subordinato Lower Tier 2. Questa subordinazione è chiara al mercato, agli investitori. E in condizioni normali funziona, cioè chi più rischia, più paga quando qualcosa va storto e lo fa senza battere ciglio. Ma in tempi eccezionali, con Brexit, gli schemi saltano.

I mercati, gli investitori, hanno i nervi scoperti. Sono divenuti ipersensibili alle cattive notizie e vedono nero, anche nelle zone d’ombra, anche nel chiaroscuro. Sono sospettosi, diffidenti. Tesissimi, sconcertati dall’incertezza sconfinata provocata da Brexit. I rischi stanno montando un po’ ovunque, politici ed economici, non soltanto in Europa, negli Usa le elezioni presidenziali terranno il mondo con il fiato sospeso fino a novembre. Il 2016 è un’annata ostica, iniziata male per il timore di un rallentamento peggiore del previsto dell’economia americana e di quella cinese e già in febbraio molti portafogli hanno ridimensionato le posizioni più rischiose, prime tra tutte quelle sugli istituti bancari con problemi di ricapitalizzazione e di crediti deteriorati. Non è di certo l’annata migliore per mettere in atto con serenità le regole che smantellano la rete di sicurezza dell’intervento pubblico e dell’aiuto di Stato nel settore bancario, per tenere a battesimo il bail-in, il salvataggio interno che impone la condivisione delle perdite tra tutte le categorie di creditori, nel caso di risoluzione o dissesto
di una banca.

In tempi eccezionali come quelli imposti dal voto dei cittadini britannici per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, i mercati annaspano nella palude dell’incertezza, si aggrappano a quanto di più solido trovano (quelle migliaia di miliardi di titoli di Stato a rendimenti negativi) e si lasciano andare ora più di prima a reazioni emotive e irrazionali.

Calato in questo contesto incandescente, e malconcio non soltanto per i margini prosciugati dai tassi negativi ma soprattutto per quella perdita di 10 punti di Pil che durante la Grande Crisi ha fatto lievitare a dismisura i crediti deteriorati, il sistema bancario italiano sta proprio ora avviando una modernizzazione storica, con fusioni e acquisizioni e taglio dei rami secchi per rispondere alle sollecitazioni della rivoluzione tecnologica e della riforma delle banche popolari, delle Bcc e delle fondazioni. Gli investitori istituzionali detentori di azioni e obbligazioni bancarie, e la clientela retail, stanno al passo con i tempi, sanno cosa è il bail-in, il burden sharing, sanno cosa è un prestito subordinato e quanto più è rischioso rispetto a un senior bond. E seguono come possono gli eventi: studiano questo mese un po’ forzatamente la differenza tra uno stress test e un’indagine prudenziale Srep, tra una “capital guidance” e una lettera della Bce che sollecita lo smobilizzo delle sofferenze. Questi investitori istituzionali e questi risparmiatori, consapevoli o mal informati che siano, sono anche quelli che hanno i nervi scoperti, che mal sopportano lo smarrimento e l’incertezza post-Brexit, sono proprio loro che potrebbero - non è certo ma è un’ipotesi sul tavolo del Governo - entrare nel panico e reagire con una fuga nel caso in cui venisse applicata alla lettera la regola del bail-in sui senior bond o del burden sharing sui prestiti subordinati, dopo uno stress test andato male e una ricapitalizzazione di mercato assistita da intervento pubblico.

Come indicato dalla Banca d’Italia nell’ultimo rapporto sulla Stabilità finanziaria, gli strumenti che potrebbero essere interessati da misure di bail-in in caso di risoluzione rappresentano (azioni escluse) poco oltre il 10 per cento delle attività finanziarie delle famiglie italiane: le obbligazioni subordinate pesano per meno dell’1 per cento, quelle senior non garantite per il 4,3 per cento e i depositi superiori a 100.000 euro per il 5,6 per cento. L’importo totale della ricchezza delle famiglie che potrebbe essere effettivamente coinvolto dipende dalle dimensioni della banca in dissesto, dal valore delle perdite, dall’ammontare di capitale detenuto, dalle necessità di ricapitalizzazione e dalle decisioni dell’autorità di risoluzione, scrive la Banca d’Italia, «che potrebbe escludere alcune passività in via discrezionale al fine di preservare la stabilità finanziaria».

Il bail-in e il burden sharing, in circostanze eccezionali, possono provocare l’instabilità invece di garantire la stabilità: per questo tanto il bail-in quanto il burden sharing prevedono deroghe. E a nulla servirebbe la facoltà, lasciata libera allo Stato italiano, di risarcire i risparmiatori truffati, nel caso emergesse la vendita di bond a prezzi non di mercato alla clientela bancaria retail. Non è ora più una questione di questa o di quella regola scritta. Di questo importo grande o piccolo. Il mondo post-Brexit è terra incognita, i mercati navigano in acque inesplorate, valgono ora di più le regole non scritte, le percezioni, le intuizioni, il fiuto, l’aria che tira.

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