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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2012 alle ore 07:00.

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In Calabria l'incorruttibilità nella pubblica amministrazione si declina al femminile. Nella regione tra le più corrotte d'Europa a distinguersi è una rete di donne.

Sono loro al centro dell'operazione Ceralacca con la quale la Procura della Repubblica e la Gdf di Reggio Calabria il 7 marzo hanno mandato all'aria un sistema di gare pubbliche truccate. Alcuni funzionari pubblici consentivano a imprenditori senza scrupoli di accedere alla cassaforte dove erano conservate le offerte delle varie ditte che partecipavano alle gare di appalto. Gli imprenditori prendevano tutto l'incartamento e lo portavano nei propri uffici dove, dopo avere rimosso la ceralacca sulla busta (ecco dunque il nome dell'operazione), controllavano le offerte degli altri e inserivano la propria che risultava quindi la migliore. Poi richiudevano la busta e la sistemavano al proprio posto in cassaforte. Così facendo riuscivano ad aggiudicarsi le gare di appalto.

Il 10 agosto 2011 è il giorno che cambia il sistema truffaldino. Due dipendenti della Stazione unica appaltante di Reggio Calabria (Giuseppina Libri e Santo Placanica) telefonano al loro capo, Mariagrazia Blefari, per informarla che una delle buste relative alla gara di appalto per il consolidamento e il risanamento di un'area a rischio indetta dal Comune di Placanica era stata «rinvenuta» casualmente sul divano (e non nella cassaforte come vuole la prassi in prossimità dell'adunanza pubblica per l'apertura delle buste). L'addetta alla protocollazione – Silvia Macheda – e l'istruttrice amministrativa – Cecilia Sacca - riferiscono di avere messo le buste di gara nella cassaforte, escludendo - categoricamente – la possibilità di una perdita accidentale del plico rinvenuto sul divano (ad esempio nel trasporto). Più chiare e nette di così si muore.
Che l'operazione Ceralacca non sarebbe esistita senza il coraggio di queste donne lo dice chiaro e tondo il Gip Cinzia Barillà quando, nell'antefatto scrive: «....la dott.ssa Mariagrazia Blefari in data 11.08.2011 si presentava dai militari del Gico della Guardia di Finanza e riferiva quanto segue....»
E quel che racconta il giorno dopo il giro di vorticose telefonate tra donne incorruttibili è da brividi perché secondo l'accusa svela un sistema di dipendenti infedeli e imprenditori senza scrupoli. I primi consentivano l'accesso – fuori dagli orari di ufficio – degli imprenditori che erano così liberi di conoscere le buste di offerta; di compilare le liste delle ditte da invitare a partecipare alle gare; di sapere quante e quali imprese avevano presentato le offerte, di modificare buste con le offerte (per poi risigillarle) e così via.

Le dipendenti guardano e riguardano i video della sorveglianza. Blefari & C. beccano un "factotum", in possesso anche delle chiavi degli uffici, che fa avanti e indietro. Ovviamente non traggono alcuna conclusione: si limitano a fornire il materiale alla Guardia di finanza (per la cronaca il factotum sarà arrestato).
Ma non basta. Il circolo di "donne terribili" e il buon Placanica – su ordine di Blefari - effettuano una sorta di screening delle buste per la gara indetta per il Comune di Placanica, per verificare eventuali effrazioni ovvero manomissioni delle stesse. E Blefari cosa fa? Fornisce le fotografie su files alle Fiamme Gialle.
Un comportamento così netto non può non suscitare una profonda avversione nei confronti della donna e dei suoi collaboratori che si manifesta nel proposito di vendicarsi utilizzando «una bomba per farli saltare tutti in aria» oppure di «andare con un camice bianco, per non sporcarsi, quando sale sul treno, quando è a Melito, là per Ferruzzano, per coso, esce il coltello, le tira due coltellate nella pancia e la getta a mare in quelle...». È questo, infatti, quanto registra la sala ascolto della Procura di Reggio il 3 novembre 2011 nel dialogo tra due imprenditori poi arrestati.

In questa operazione c'è però spazio anche per gli uomini. Oltre a Placanica, che collabora con Blefari, va segnalato anche il ruolo di un dirigente della Sorical, la società di risorse idriche calabresi. Si chiama Stefano Pizzarello ed è un ingegnere romano di 65 anni. Avvicinato a suon di mazzette risponde di non avere bisogno di soldi. Da quel momento la sua vita sarà un inferno ma resiste, così come la speranza di una Calabria che da queste donne e questi uomini riparta.

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