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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2012 alle ore 07:00.

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Il banco di prova del rating antimafia sarà la Calabria. Se funzionerà qui – in una terra piegata da ‘ndrangheta, massoneria deviata, malapolitica, servizi segreti collusi e credito malato e moribondo – funzionerà ovunque in Italia.

A questo lembo disperato di Sud bisognerà guardare per capire l'evoluzione della proposta – lanciata da Antonello Montante, delegato di Confindustria per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio – di mettere a punto un rating antimafia per le aziende che adottano, ad esempio, codici anticorruzione e denunciano il racket delle estorsioni, aiutandole nella battaglia quotidiana della legalità a partire dalla possibilità di accedere al credito più velocemente.
Una proposta che ha fatto passi avanti con la legge sulle liberalizzazioni 27/ 2012, che ha recepito il rating antimafia, come del resto ha sempre auspicato il Governo a partire dal ministro della Giustizia Paola Severino.
Forse nessuno come Antonino De Masi, imprenditore di Rizziconi, già a capo del comparto meccanica di Confindustria Calabria, con un'azienda che nella Piana di Gioia Tauro dà lavoro, senza cedere alle cosche e senza piegarsi ai poteri forti della zona, a circa 160 persone, può esprimere un giudizio sul presente ma, soprattutto, sul futuro del rating antimafia.

De Masi ha una lunga serie di coraggiosi contenziosi con le banche. Uno, storico, vinto anche in appello il 2 luglio 2010 e confermato a novembre 2011 in Cassazione e diversi altri in itinere, ai quali si aggiunge l'ultima denuncia presentata il 23 febbraio alle Procure di Reggio Calabria, Palmi e Trani. La Giustizia a luglio 2010 ha appurato che gli furono praticati 69 casi di usura sui conti correnti e ora attende che lo Stato gli eroghi quasi 4 milioni per essere stato riconosciuto vittima di usura. «L'accesso al credito, come è emerso da moltissime indagini – afferma - le regole di Basilea e le restrizioni creditizie non valgono per il sistema delle imprese sotto controllo della criminalità. Credo che questa sia una fotografia molto reale della Calabria ma a questo metodo non si sottraggono molte imprese del Nord in quanto sono funzionali al sistema. Molte di loro, per eseguire i lavori a tutti i costi, fanno patti con il diavolo, quindi spesso è capitato che sono andati dai boss di turno per offrire preventivamente la tangente. Da qui bisogna partire per analizzare il rating sulla legalità e domandarsi se dare un punteggio alle imprese legali sia giusto o no. La risposta è sì ma in un contesto come questo come si può fare? Individuare una lista di adempienti "freddi" e poi alla fine assegnare un punteggio che dirà se uno ne ha diritto o meno? Credo che questo argomento sia molto pericoloso e se non si sta attenti si rischia di avere effetti che sono peggiori del male. La mia posizione in questa materia è netta e parte da un concetto molto semplice: oggi il mercato non è libero ed è sotto il controllo di organizzazioni criminali. La risposta dovrà essere di una forza maggiore e contraria che renda libero quello che libero non è. Il piatto del rating sulla legalità deve essere succulento: far funzionare i Confidi a supporto delle aziende che hanno per percorso la legalità, che garantiscano loro il costo del denaro, l'accesso al credito e non le restrizioni di un funzionario di turno della banca; una premialità fiscale, per alcune aree del Paese e per alcuni settori merceologici, per esempio l'edilizia pubblica; canali privilegiati nella pubblica amministrazione».

In Calabria – ancor più che in Sicilia e nel resto del Sud – non si può non passare dai giudizi dei pm antimafia che, quotidianamente, si scontrano con gli intrecci mafiosi che spesso e volentieri vedono nel credito un nodo scorsoio. Giuseppe Lombardo è tra i pm di punta della Procura di Reggio Calabria. «L'impostazione di fondo – afferma senza pensarci un attimo - è condivisibile e può rappresentare un sistema valido per andare a individuare subito le imprese virtuose, a partire dalla collaborazione che rendono alla magistratura. Però deve essere gestito in maniera puntuale attraverso meccanismi che aggiornino continuamente le classifiche».
Questa riflessione è vitale: il giudizio sull'affidabilità dell'impresa deve essere dato in tempo reale. «Upgrading e declassamento – spiega Lombardo – non possono avvenire dopo anni e non si può rimanere agganciati per sempre a una classe di merito. Se si declassa una volta all'anno l'impresa, che invece andrebbe magari declassata molto prima, si corre il rischio di continuare ad agevolare imprese che non hanno più i requisiti».

Per farsi capire meglio Lombardo ricorre a una metafora. «Se gli esperti enogastronomici non aggiornano una guida dei migliori ristoranti – afferma – i clienti che la leggono corrono il rischio di mangiare e bere in una bettola anziché in un 5 stelle. Il rating deve essere gestito in tempo reale attraverso una banca dati che contempli notizie e informazioni su tutte le imprese. Deve essere aggiornata da esperti del settore perché la criminalità organizzata non si presenta con la coppola. Ci vuole una task force che individui i segnali che le imprese mafiose sanno mascherare molto bene». Già, il piatto rischia di diventare indigesto.
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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