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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2012 alle ore 13:09.

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Non ci sono ancora dati aggiornati ma una cosa appare certa: la Calabria è destinata a entrare nel pieno della crisi proprio nel 2012. Almeno questa è l'opinione degli economisti e degli analisti i quali si preparano a studiare gli effetti che la manovra di contenimento delle spese e di recupero di nuove entrate fatta dal governo nazionale avrà sulla già gracile economia della regione. Secondo gli esperti, infatti, l'assenza di un forte settore imprenditoriale privato finora è stata, paradossalmente, un punto di forza per una terra che continua a dipendere molto dai trasferimenti pubblici.

Spiega Rosanna Nisticò, professore associato di Politica economica alla facoltà di Economia dell'Università della Calabria: «La nostra – dice – è un'economia molto legata all'andamento della Pubblica amministrazione ecco perché ragionevolmente si può immaginare che le misure introdotte dalle ultime manovre nazionali come l'aumento delle tasse, la stretta sui controlli fiscali e così via possa avere conseguenze di un certo tipo sui redditi dei calabresi. Diminuirà, non sembrano esserci dubbi, la capacità di spesa e ciò, per esempio, avrà conseguenze su settori importanti come l'edilizia. A meno che non via sia una forte ripresa dell'edilizia pubblica». Né, spiega ancora l'economista che cura ogni anno il rapporto congiunturale sulla regione su incarico di Confindustria Cosenza, si può sperare che un aiuto arrivi dall'export: «Quelle aree del paese che hanno settori privati forti e ad alta produzione potranno contare sulla ripresa economica di alcuni paesi esteri mentre la Calabria su questo fronte continua a essere molto debole». I dati sull'export, mostrano quanto la Calabria sia marginale: nel 2011 ha totalizzato 354,9 milioni che è certo in leggera crescita sul 2010 (era a 344,6 milioni) ma in calo rispetto ai 392,1 milioni del 2008.

E nemmeno ci si può illudere a vedere i dati sull'andamento delle imprese: in Calabria crescono le società di capitale e di persone, diminuiscono le imprese individuali. È ciò che emerge dall'analisi della banca dati di Movimprese-Infocamere su 2010 e 2011: le società di capitale (di fatto il 10,2% del totale delle imprese attive nella regione che a fine 2011 erano 156.995) sono passate da 15.268 imprese attive del 2010 a 16.139 dell'intero 2011 con un incremento del 5,7%, mentre le società di persone sono passate da 15.815 del 2010 a 15.978 a fine 2011 con un incremento dell'uno per cento circa. «Anche questo dato può essere figlio della crisi – spiega Rosanna Nisticò –: le società di capitale resistono perché hanno alle spalle una organizzazione di impresa mentre quelle individuali chiudono perché più fragili. Facendo un'analisi approfondita si scopre magari che a chiudere sono quelle del settore del commercio che più risentono del calo di domanda». I fattori che condizionano l'economia della regione sono parecchi: «La stretta creditizia e il calo dei consumi stanno penalizzando enormemente agroindustria e Pmi artigiane – argomenta il presidente regionale di Unioncamere, Lucio Dattola –. In particolare, il costo del denaro si sta confermando più caro del 6% rispetto al Nord: occorre ridare ossigeno al comparto anche attraverso il sistema dei confidi, come stiamo cercando di fare a livello camerale. In un momento di crisi, nella trasformazione dei prodotti agroindustriali settori come l'oleario stanno comunque ripartendo».

L'anno, del resto, non si è chiuso affatto bene. Il rapporto congiunturale curato dalla Banca d'Italia e aggiornato a novembre 2011 ha segnalato una situazione di sostanziale debolezza dell'economia regionale: «Il saldo demografico delle imprese industriali è risultato negativo – si può leggere – e il clima di incertezza derivante dalla debolezza del quadro congiunturale, nonché gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata, hanno ridotto l'attività di investimento: il 39% delle imprese intervistate dalla Banca d'Italia ha effettuato nel 2011 una spesa inferiore a quella già prevista in calo all'inizio dell'anno; oltre un terzo ha dichiarato che ridurrà i propri investimenti nel 2012». Una situazione che impone una riflessione attenta, soprattutto per cambiare la prospettiva. Cambiare strada è a questo punto un obbligo. ma quale può essere la via d'uscita: «A mio modo di vedere – dice Giovanni Coci, partner di Kpmg per il Sud della Calabria e per la Sicilia – ci sono tre elementi su cui puntare: il primo è quello del controllo contabile, interno ed esterno per imprese e pubblica amministrazione; il secondo è quello della trasparenza finanziaria e il terzo è quello della legalità. Tutti è tre rappresentano fattori importanti per lo sviluppo perché possono fare della Calabria una regione appetibile per gli investimenti anche dall'estero». E a questo punto il tragitto sembra proprio obbligato.

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