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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 07:03.

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Fortuna vuole che l'anno scorso la premier Julia Gillard abbia insistito, per dotare l'Australia di un mercato delle emissioni-serra, simile a quello della vicina Nuova Zelanda. Perché senza l'afflato ambientale dei governi di Canberra e Wellington, Bruxelles somiglierebbe a un solitario Don Chisciotte: la paladina della battaglia al riscaldamento climatico, è rimasta praticamente da sola.

Nel 2010, ultimo dato ufficiale disponibile, le emissioni di anidride carbonica da parte di tutte le economie del mondo sono cresciute di un fragoroso 5,9% (512 milioni di tonnellate in più) dopo la fugace flessione del 2009, associata alla recessione globale. In Europa, nel 2009 erano crollate del 12%. Sono risalite del 2,5% nel 2010 e, «nel 2011 dovrebbero essere rimaste stabili, a 1.918 milioni di tonnellate», dice Emilie Alberola, capoanalista di Cdc Climat, una controllata della Caisse des Dépôts francese. Ma si dà per certo che, su scala globale, siano cresciute sensibilmente anche nel 2011. Sin qui, l'approccio multilaterale per ridurre i gas che intrappolano la radiazione infrarossa del pianeta Terra, non ha funzionato.

L'ultimo vertice Onu di Durban non si è concluso in un disastro, solo perché la solita Unione Europea ha manovrato per evitare la collisione fra gli interessi particolari (la politica degli Stati) e gli interessi universali (la salvaguardia del clima planetario nel distante futuro). Però, mentre il Giappone si rifiutava di prolungare la vita al Protocollo di Kyoto e il Canada annunciava di volerlo abbandonare subito, è stato soltanto deciso di decidere nel 2015. Da prossimo round, fissato a dicembre in Qatar, nessuno si attende miracoli. Anche se qualcuno spera che il vertice Rio+20 (a giugno i grandi del pianeta si ritroveranno in Brasile a vent'anni dal celebre Earth Summit del 1992) possa almeno smuovere le acque.

Nel frattempo, non fa meraviglia che l'Ets, il mercato europeo delle emissioni, sia l'ombra di sé stesso. Dal 2005, le imprese più energivore devono comprare sul mercato i diritti Eua (ognuno dei quali consente di emettere una tonnellata di CO2), per le emissioni che superano una certa soglia. Oppure i diritti Cer, legati a investimenti in energie pulite nei paesi in via di sviluppo. L'idea non è quella di tassare le emissioni, ma di incentivare la transizione verso energie più pulite ed efficienti: chi investe in nuove tecnologie ed emette di meno, si trova con gli Eua in eccedenza da vendere sul mercato. Però il prezzo del carbonio deve essere piuttosto elevato, affinché gli incentivi funzionino. E ormai da tempo il prezzo è l'ombra di sé stesso: un tempo gli Eua veleggiavano sui 30 euro, oggi sono sotto i nove euro.

I Cer quotano sotto ai 5 euro. Non c'è solo l'impasse della diplomazia climatica internazionale. L'eccessiva allocazione iniziale di diritti gratuiti, qualche incidente di percorso (come il furto elettronico di 28 miliardi di euro in certificati, per mano di esperti hacker), ma anche il rallentamento dell'economia che ha abbassato la domanda di energia e quindi le emissioni, hanno prodotto questo stallo. Da qualche giorno, sull'Ets è apparsa una nuova categoria di diritti: gli Euaa, dove l'ultima «a» sta per «aviazione». Sono l'oggetto della disfida diplomatica del momento, che oppone la Ue a una trentina di paesi. Il primo gennaio è entrata in vigore la direttiva sulle emissioni (tutte le compagnie che decollano o atterrano in Europa devono partecipare all'Ets), per incoraggiare l'efficienza energetica anche nell'aviazione civile. Di tutta risposta, l'India ha detto alle proprie aviolinee di non rispettare la legge europea, gli Usa meditano di fare altrettanto e la Cina ‐ in assenza di dichiarazioni ufficiali ‐ sembra intenzionata alla rappresaglia commerciale: gli ordini cinesi per i nuovi velivoli Airbus sarebbero stati bloccati. Se il multilateralismo non funziona, anche l'unilateralismo ha i suoi bei problemi.

«La imploriamo di sostenere l'iniziativa europea per mettere un prezzo alle emissioni di carbonio dell'aviazione o, quantomeno, smettere di ostacolarla», si legge in una lettera arrivata pochi giorni fa alla Casa Bianca, firmata da cinque premi Nobel per l'economia, fra i quali Kenneth Arrow e William Sharpe. «Finché le emissioni non avranno un prezzo, il mondo continuerà a dissipare una risorsa scarsa: la capacità del pianeta di assorbire le emissioni-serra».
È precisamente quel che pensa, in sostanziale solitudine, la Commissione europea.

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