Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 07:00.

My24

«Una epoca si è chiusa. Il passaggiodiconsegne,dal tessile europeo al tessile asiatico,siècompiuto con l'ingresso della Cina nel Wto. Il Novecento è ormai alle nostre spalle. In questo settore, negli ultimi vent'anni, Biella ha perso quindicimila posti di lavoro».
Nel racconto a più voci della nostra economia, ogni distretto ha i suoi grandi vecchi. Nella sua vita Emilio Falco, 83 anni di cui oltre sessanta spesi fra fabbriche e uffici della antica Manchester in miniatura, ha messo soldi in almeno una dozzina di imprese.

Le ha viste crescere, ha dato consigli e poi è uscito dal capitale. «Una volta ‐ spiega ‐ era difficile sbagliare. Adesso, per questo territorio, l'unica prospettiva è un mix produttivo formato dai tessuti tecnici, magari destinati a utilizzi industriali, e dai grandi marchi dell'abbigliamento, a patto però che abbiano capacità distributiva». Il pessimismo radicale di Falco ha origine nella geo-economia nata dall'adesione, nel 2001, della Cina al Wto. Nel 2001 le imprese tessili erano 1.555, mentre oggi sono soltanto 936; l'export in quell'anno valeva 1,2 miliardi di euro, nel 2011 si è attestato a 1,036 miliardi (più 16,4% rispetto al 2010). La contrazione del perimetro manifatturiero, in termini di imprese e di occupazione, fa il paio con un inspessimento dell'agglomerazione produttiva: secondo una linea coerente con lo sviluppo dell'economia italiana, la quota delle società di capitale sul totale delle imprese è salita dal 10,6% del 2000 al 14,4% del 2011.

Peraltro, stando a Unioncamere Piemonte che ha analizzato i bilanci del segmento della tessitura, nel 2010 il fatturato a Biella è salito del 21,4%, contro l'incremento del 6,1% registrato dai suoi concorrenti di Prato e il +6,8% messo a segno da quelli di Varese. Qui l'Ebidta sulle vendite è stato pari al 6,7%, a Prato al 4,3% e a Varese al 2,7 per cento. Esiguo il Roe: l'1% per i biellesi, sempre più però dello 0,3% dei pratesi e del -1% dei varesini.

«È evidente che esiste un problema di redditività ‐ sottolinea Roberto Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa ‐ ma è altrettanto evidente che la lunga transizione del tessile internazionale avrebbe potuto uccidere Biella. Questo non è successo, come dimostrano i dati sull'export. In ogni caso, le cose sono cambiate».
Che le cose siano cambiate, qui lo sanno benissimo. Hanno incominciato a intuirlo, già a partire dagli anni Settanta, i pensionati che arrotondavano andando in Cina a portare le macchine ormai in disuso.

Lo hanno visto tutti, quindici-vent'anni dopo, quando la strada che da Biella si inerpica verso la Valle Mosso ha incominciato a riempirsi di edifici abbandonati, fabbriche chiuse e operai a casa. Meno male che (allora) esistevano gli ammortizzatori sociali e che, fra gli imprenditori biellesi, nessuno è mai morto povero. Oggi lo capiscono ancora di più, dato che il tema dei volumi produttivi (che rimangono) e dell'export (che cresce in linea con l'intera economia italiana) si incrocia con quello della marginalità reale. «Quanto guadagnano? È difficile dirlo. Certo, ormai i soldi veri li fanno soltanto gli imprenditori che, nell'abbigliamento, hanno un grande marchio e quelli che, ai tessuti tradizionali, hanno affiancato quelli tecnici», osserva Secondo Rolfo, direttore del Ceris-Cnr e autore di diversi paper sul caso Biella.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.