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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2012 alle ore 07:06.

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I prodotti dell'Arredo-casa che, come noto, rappresentano una delle "4 A" dell'eccellenza manifatturiera italiana, continuano ad essere oggi tra i più esportati dal nostro Paese, nonostante la concorrenza asiatica sia divenuta particolarmente aggressiva nell'ultimo decennio. Secondo l'Osservatorio Gea-Fondazione Edison, l'Italia si colloca nei primi tre posti al mondo tra i Paesi esportatori in tutti i 17 prodotti in cui è suddiviso statisticamente il settore mobili e lampade. E nel 2011 i mobili hanno contribuito alla bilancia commerciale italiana con l'estero con un surplus di 6,3 miliardi di euro.

Sono soprattutto il design e la progettazione a giocare un ruolo fondamentale come fattore competitivo. Il successo attuale ha radici profonde. Il design italiano è nato negli anni 30 attorno alle grandi forniture di arredamento per le navi da crociera prima che per la produzione di beni di consumo. La capacità di operare in maniera flessibile, utilizzando tecnologie artigianali organizzate in maniera industriale, confrontandosi con designer, arredatori, stilisti o architetti di interni, ha contribuito alla nascita di quella particolare attitudine della piccola e media industria italiana a operare adattandosi a una committenza raffinata e a rispondere a esigenze funzionali diverse: dalle cabine ai ristoranti, dalle sale per lo spettacolo agli uffici di comando. È su questa base che si è sviluppata in Italia la produzione del contract, un settore di forniture per uffici, alberghi, teatri, ristoranti, che rappresenta oggi uno dei settori trainanti della nostra industria dell'arredamento.

Rispetto alla definizione classica delle relazioni lineari tra progettista e committenza, il sistema del design italiano potrebbe sembrare dispersivo, ma deve essere apprezzato confrontandolo con le rigidità che in altri Paesi la produzione di beni di consumo ha incontrato con l'avvento dell'economia post-industriale, con il frazionamento dei mercati, nel confronto con la concorrenza globalizzata e con la necessità (che da questa deriva) di elaborare continue strategie di innovazione. Non è un caso, infatti, che negli ultimi decenni tutti i maggiori designer del mondo abbiano lavorato con industrie italiane: Ron Arad per Driade e Kartell; i fratelli Campana per Edra; Philippe Stark per Kartell, Flos e Alessi; Zaha Hadid per Serralunga, Cassina e B&B; Karim Rashid per Foscarini, solo per citarne alcuni.

Nell'ultimo decennio il processo di internazionalizzazione si è consolidato. Gli effetti della globalizzazione si stanno quindi manifestando anche all'interno di questo delicato settore tecnico-culturale, con evidenti vantaggi di mercato ma anche con il pericolo (che già oggi si manifesta) che si possano trasferire settori importanti dei cicli manuali in Paesi produttivamente più favorevoli (come la Cina). Ma l'Italia ha un'arma segreta, ineguagliata: la sinergia tra industria e artigianato.

La collaborazione vincente tra produzione e progettazione passa attraverso i centri prototipi, una sorta di laboratori artigianali interni alle industrie e integrati direttamente nel ciclo industriale. L'Italia è oggi l'unico paese europeo in cui è presente una consolidata tradizione di alto artigianato legato al design, al contrario di altri Paesi dove o è scomparso del tutto, o è rimasto legato alla produzione degli stili storici, o si è integrato passivamente nei cicli industriali, perdendo la propria caratteristica legata alla perfezione manuale e alla piccola serie.

In questo contesto di collaborazione tra design e piccole e medie industrie, si è sviluppata una specifica tradizione italiana legata alla realizzazione di produzioni di piccole serie e di serie numerate. Queste tipologie produttive si sono intrecciate, a partire dagli anni 80, con il mercato delle gallerie di design e con il fenomeno del collezionismo internazionale e corrispondono oggi a una particolare strategia industriale volta a affrontare il frazionamento dei mercati, al fine di limitare i rischi della produzione di grandi numeri. Pionieri di questa strategia imprenditoriale sono state Azucena e Gavina, ma durante gli anni 80 molte importanti imprese hanno affiancato al loro marchio principale una collezione di prodotti più sperimentali destinati a cataloghi di complementi di arredo, a cominciare da Artemide con la sua collaborazione (esterna) con Memphis, a Cassina con Braccio di ferro e Zanotta con Zabro.

La piccola serie e la serie numerata giungono poi a fungere da imprese pilota realizzando offerte avanzate che indicano alla produzione di grande serie nuovi percorsi merceologici e nuovi territori dell'immaginario, ma rispondendo anche alle necessità specifiche di piccoli mercati specializzati. Si possono ricordare casi tra loro opposti di piccole serie numerate, come Edra per alcune sedute dei fratelli Campana. La produzione di grande serie di prodotti di design in Italia è dunque costituita da oggetti che sono spesso il risultato di storie diverse e appartengono a differenti categorie merceologiche.

Nel settore dell'arredamento queste storie diverse sono il risultato di molti fattori. Talvolta, il successo popolare premia un prodotto destinato inizialmente a una produzione limitata (come il City di Antonio Citterio per B&B, il Maralunga di Vico Magistretti per Cassina, lo sgabello Bombo di Giovannoni per Magis, le lampade Tizio di Richard Sapper per Artemide, prodotti in centinaia di migliaia di pezzi). Non sempre è il risultato di importanti investimenti in ricerca tecnica o di una approfondita analisi di mercato, ma spesso è frutto di intuizioni geniali di singoli designer. Ideazioni non programmate dunque per la grande serie, ma destinate quasi ai fuori serie: due categorie che nel design italiano sono sempre state molto vicine e spesso si sono scambiate di ruolo.

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