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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2012 alle ore 07:00.

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Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Toscana hanno superato quota 100, il che vale a dire che da sole rappresentano il 44% circa degli spin-off accademici. La fotografia scattata dall'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant'Anna e da Netval descrive nel suo complesso un sistema universitario sempre più a suo agio nel produre micro-imprese. Dal 2003 al 2007 si è passati da 60 a 135 nuovi spin-off all'anno.

Poi la brusca frenata nel 2009 (54) e una serie di alti e bassi. «Premesso che gli spin-off andrebbero pesati piuttosto che contati, ormai ci si è assestati sui 100-120 spin-off all'anno - spiega Andrea Piccaluga dell'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant'Anna -. Negli enti più avanzati si fa spin-off solo quando ci sono i presupposti, insomma, è passata la sbornia. C'è una fase di maturità negli atenei più avanzati e nel sud. Il che è un bene perché oggi le aziende che escono dall'Accademia sono qualitativamente più interessanti».

Da anni Andrea Piccaluga insieme al suo gruppo di ricerca tiene una sorta di anagrafe della ricerca pubblica. Nel suo ultimo rapporto l'identikit descrive micro-imprese con una dimensione media di una decina di addetti. È ragionevole stimare che il volume di affari complessivamente generato si aggiri sui 600 milioni di euro e un numero di occupati nell'ordine di 8mila unità. Negli ultimi due anni l'andamento è stato più discontinuo, per cui ci si aspetta una revisione al ribasso di queste stime.
Tuttavia, oltre la metà delle imprese è localizzata al nord. In particolare, il Politecnico di Torino (81), Cnr (61) e Università di Bologna (56) guidano la classifica. Nelle prime dieci posizione anche Padova, Perugia, Cagliari Udine e l'università della Calabria. L'università di Milano è in ottava posizione con 33 spin-off. Ma più in generale il «sistema» delle università lombarde (tra cui Politecnico, Bocconi, università di Brescia, Pavia, San Raffaele) recita ancora una volta la parte del leone con oltre 100 spin-off. La Lombardia quindi si configura rispetto alle altre come la regione con la più spiccata vocazione imprenditoriale. Senza avere atenei superstar. Tra i primi dieci atenei compare solo l'Università di Milano.

Più interessante resta la natura e il settore a cui guardano queste imprese. Innanzitutto se indaghiamo il loro codice genetico scopriamo che fino a pochi anni fa nella maggior parte dei casi avevamo a che fare con docenti e giovani ricercatori che danno vita all'impresa senza però abbandonare i propri incarichi all'interno dell'università di provenienza. È questo forse uno dei tratti più caratteristici degli spin-off nostrani. Pochi, pochissimi sono i docenti che decidono di lasciare la cattedra per dedicarsi anima e corpo all'impresa. Meglio, insomma, tenere un piede in università. Il capitale sociale infatti è costituito per due terzi da persone fisiche.

Decisamente più contenuta la presenza di parther industriali, accademici e finanziari. Ma il quadro sta cambiando. Negli ultimi anni, sopratutto nei settori delle nanotecnologie e delle scienza della vita, sta aumentando il peso di soci esterni industriali. Il che dimostra come quella degli spin-off si sta trasformando sempre più in una sorta di sistema della ricerca e sviluppo a cui guardano azienda più tradizionali per innovare. «Nella fase pioneristica erano i professori a guidare il processo - conferma Piccaluga -. Ormai si è definitivamente affermato il modello dei giovani ricercatori che diventano imprenditori. Sono i dottori di ricerca che sfruttano i loro studi per dare vita a una attività. Il secondo dato di novità è legato alle forme di finanziamento. Sempre più spesso nascono con già un socio industriale, o con un seed capital o con un finanziamento della Regione. In altre parole, si sono fatti furbi e partono con le spalle più coperte».

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