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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2012 alle ore 07:00.

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Una piazza del Duomo in bianco&nero, inquietante e un po' lugubre, con la facciata della Cattedrale tappezzata da giganteschi cartelloni pubblicitari che arrivano fin quasi alla Madonnina d'oro, così come quasi completamente ricoperti da affissioni sono l'ingresso della Galleria Vittorio Emanuele e i palazzi circostanti. È intitolato "Brand park" il video di Roberto Marsella, classe 1974, nato a Taranto ma sbocciato professionalmente a Milano, dove fonda nel 2000 un laboratorio sulla videoart che spopola sul web, dove è apprezzato come Underbob.

Marsella è uno degli elementi di spicco della creatività lombarda e ha lavorato per alcuni dei più importanti marchi italiani e stranieri. Inclusi alcuni colossi in testa alle classifiche mondiali per ricavi e notorietà che si sono affidati ai suoi progetti: la videoarte è uno dei filoni più dinamici della creatività applicata alle imprese, grazie al legame (anche perverso) con il mondo dei social network.

Certo può impressionare il confronto dell'attuale trend con quello che pochi decenni fa vedeva emergere talenti come Gio Ponti o Ettore Sottsass, per citare solo due tra i maestri che dalla Lombardia hanno dominato l'architettura e il design internazionali: geni creativi al servizio di un sistema industriale che, dal dopoguerra in avanti, ha saputo testimoniare capacità di innovazione e flessibilità forse unici nel panorama mondiale. Oltre al coraggio nella sperimentazione di quei modelli produttivi "a rete" dove l'intera filiera – dal laboratorio artigianale al big di un settore – si rimbocca le maniche per sfornare prodotti in grado di calamitare l'attenzione dei consumatori.

Ma il mondo evolve e sarebbe sbagliato non prenderne atto: del resto, appunto nel design come nella moda, nella pubblicità come nell'arte, tutti i settori stanno sperimentando una liaison sempre più stretta con l'era digitale. I video sono l'ultimissima frontiera della comunicazione, del linguaggio e della creatività, che è necessario siano sempre più rapidi, coinvolgenti e immediati.

L'obiettivo è catturare l'attenzione dei giovani che nei mercati emergenti sono già appassionati acquirenti del made in Italy – in particolare nella moda e nel lusso, almeno per il momento – e che, in quelli maturi, incluso il nostro, si spera potranno tornare a esserlo presto, non appena si intravvederanno i segnali di una ripresa che al momento non accenna purtroppo a manifestarsi.

Creatività come comunicazione, dunque, ma anche, appunto, come capacità competitiva, un elemento che è un vero e proprio antidoto alla crisi. Del resto, se un colosso come Ikea ha spostato dall'Asia all'Italia – per la precisione, in 24 aziende disseminate in Lombardia, Piemonte e Veneto – parte della sua produzione, con ordini di un miliardo di euro all'anno in mobili e rubinetti, ciò significa che l'affidabilità del sistema non è poi così sottoterra come troppi pensano.

La cultura manageriale di una multinazionale come quella svedese può essere utile per ridare ossigeno alle piccole e medie imprese del settore legno-arredo, così come potrebbe accadere nel comparto della moda, tradizionalmente molto forte in Lombardia: è qui, infatti, che hanno sede i potenti uffici stile che, in stretto contatto con il marketing, sfornano le idee per gli abiti, le borse, le scarpe e gli altri accessori, in primis gli occhiali, che tanto garantiscono performance di vendita significative sui mercati emergenti, dove i consumatori sono ansiosi di esibire gli status symbol made in Italy. Proprio in questa regione si annidano le imprese tessili, quelle a monte della filiera, con un know how imbattibile in alcune fasi della lavorazione: con pochi opportuni accorgimenti sulla competitività del costo della manodopera, ad esempio, si potrebbe rilanciarne l'attività come preziosa leva di unicità nel segmento dell'alto di gamma, dominato dai big brand italiani e stranieri, inclusi i giganti francesi, che ad esempio hanno già "delocalizzato" nel nostro Paese la realizzazione artigianale delle scarpe griffate.

Insomma, come usavano dire i nostri nonni, l'unione fa la forza. E superare gli individualismi che sono spesso tipici delle microimprese, organizzandosi in reti in grado di proporsi come partner di chi ha dimensioni decisamente maggiori e può addirittura essere leader sui mercati mondiali, è di sicuro una strategia vincente. Non soltanto per le imprese lombarde di tutti i settori, ma per l'intero sistema industriale italiano. Ricco di peculiarità che – a dispetto di chi è critico per partito preso – sono indissolubilmente legate proprio alla nostra italianità.

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