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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 10:24.

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La ricostruzione post-terremoto? «Se non è un'occasione mancata sicuramente è una falsa partenza. In un sistema urbanistico policentrico come quello aquilano, finché il cuore pulsante del centro storico dell'Aquila non tornerà a battere, il funzionamento di tutto il sistema resterà compromesso». Così Luca Zevi, architetto e urbanista, 63 anni, direttore del padiglione italiano alla Biennale di Venezia 2012, descrive la mancata rigenerazione del territorio abruzzese dopo il sisma.

Come si concilia l'idea di una visione strategica di città con la necessità di mettere in atto azioni rapide?
Bisogna lavorare subito per recuperare il centro storico. È impressionante l'ammasso di rovine tenute in piedi da ponteggi nel centro storico dell'Aquila, rovine per cui ancora non si è deciso cosa fare. Anche le infrastrutture urbane non sono state riattivate. Le operazioni di primo soccorso hanno alloggiato rapidamente migliaia di persone, ma i nuovi insediamenti del progetto Case sono stati calati dall'alto senza attivare economie locali. Sono comparti residenziali monofunzionali che non garantiscono l'effetto città. Una nuova città oggi è contemporaneamente policentrica e ovunque complessa.

Come si immagina L'Aquila nel 2030?
Rigenerare il territorio aquilano significa ricostruire un sistema accessibile in chiave plurimodale, integrato con il paesaggio. La presenza del fiume che struttura il territorio è un riferimento geografico da non trascurare e che va coniugato anche con il sistema della comunicazione sul ferro. La vecchia linea ferroviaria Sulmona-Aquila-Terni potrebbe essere riqualificata e diventare una via alternativa alla mobilità su gomma, volano per la creazione di nuovi insediamenti a ridosso della stazioni ferroviarie.

La priorità al nuovo o al recupero?
Non si possono separare in modo netto le operazioni di recupero e il nuovo costruito. La rigenerazione degli insediamenti storici deriva dalla cultura moderna in cui si è lavorato per promuovere un rapporto dialettico tra il nuovo e la storia, restando sensibili alle preesistenze. All'Aquila è necessario lavorare sui vuoti, recuperare il sistema degli spazi pubblici e le infrastrutture sono l'assoluta priorità.

E per le risorse creative?
Per la scelta del linguaggio architettonico bisogna aprire un confronto culturale che fino ad oggi non c'è stato. Fondamentale è innescare un processo virtuoso che valorizzi le risorse locali.

Alcuni casi di riferimento?
In Friuli e in Umbria la ricostruzione è stata molto attenta alla riqualificazione, ma alcune azioni sbagliate messe in atto in fase emergenziale hanno compromesso la qualità della ricostruzione. Guardando all'estero, un riferimento sono le città tedesche ricostruite nel dopoguerra: Dresda a Norimberga hanno optato per una salvaguardia del tessuto, Francoforte invece ha puntato sul nuovo per superare il trauma della guerra, cancellando così la dialettica tra antico e nuovo. Il modello della ricostruzione giapponese può dare una lezione in termini di efficienza, ma è meno attento al recupero della materia e più al contenuto ideale e sociale.

In che modo il padiglione italiano della prossima Biennale di Venezia potrà offrire degli spunti di riflessione per la ricostruzione?
Con il nostro padiglione partiamo dal concetto che la centralità della finanza dovrebbe essere sostituita da creatività, lavoro e solidarietà. L'Aquila ha bisogno di tutto questo, di ricostruire un tessuto e renderlo produttivo, riducendo le disparlità sociali e creando un sistema territoriale integrato e efficiente.

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