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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 13:56.

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Inutile girarci intorno: a Trieste, in provincia e per la regione intera, l'infrastruttura delle infrastrutture è il porto. Da qui cominciano e qui finiscono le attenzioni di imprenditori, politici e manager. Qui si concentra lo sviluppo futuro che fa innanzitutto rima con piattaforma logistica e rigassificatore.

«Sono d'accordo con il collega di Gorizia Giuseppe Bono – afferma il presidente di Confindustria Trieste Sergio Razeto, 62 anni, a capo della Wartsila Italia di San Dorligo della Valle, leader mondiale nella produzione di motori a 4 tempi – quando dice che non è importante dove si faccia la piattaforma logistica. Siamo in contatto con il mondo, cosa vuole che conti farla a Trieste o a Gorizia?».

Marina Monassi, presidente dell'Autorità portuale di Trieste non ha dubbi su dove e quando deve essere ospitata la piattaforma. «Tanto Bono quanto Razeto – premette – sono persone di grandissima esperienza ma Trieste e Monfalcone non sono paragonabili. Quello che ho proposto tante volte e che avrei già sognato dal '96, è un'Autorità portuale unica che ponga anche fine a queste discussioni artificiose. Sarebbe facile: un semplice decreto per allargare la circoscrizione ma la politica non lo vuole».

Come a dire: la palla deve passare per i piedi del porto di Trieste che smista il gioco e per dimostrarlo ecco l'esempio. «Solo lo Stato costruisce le grandi infrastrutture – afferma Monassi – e ricordo che a Trieste c'è un bando già pubblicato, lavori già aggiudicati e dunque speriamo di consegnare la piattaforma logistica entro febbraio 2013». E allora la sveglia degli industriali sulla fine della lotta tra campanili suona a sproposito? «Come italiana sarei felice se ci fosse una piattaforma logistica anche a Monfalcone – spiega Monassi – perchè questo vorrebbe significare lavoro e investimenti».

Fine della storia. In realtà così non è perchè in questo tirare l'acqua al proprio mulino a farne le spese sono gli imprenditori. Il rigassificatore, di cui si parla da anni ma che è ancora regolarmente sulla carta, lo dimostra. «Dal 2016 – spiega Razeto – gli Usa e a cascata l'Australia diventeranno tra i principali esportatori di gas, che viaggerà attraverso enormi navi gasiere che solcheranno i mari di tutto il mondo. L'Italia, compresa Trieste, ha bisogno come il pane non di uno ma di 10 rigassificatori altrimenti saremo tagliati fuori dai ritmi dell'economia globale. Non si farà a Trieste? E allora diciamolo una volta per tutte e facciamo del nostro porto uno snodo vitale del trasporto merci per l'Est e per il Nord Africa attraverso i traghetti».

Anche sul rigassificatore Monassi dice la sua e mentre lo dice è testimone consapevole della mostruosità della burocrazia e dei centri decisionali. «Stiamo aspettando di convocare il comitato portuale che dovrà esprimere un parere importante e vincolante con Provincia, Comune e Regione per una discussione serena – spiega in modo didascalico – e poi ci sarà il nostro parere da dare in conferenza di servizi dove siamo 25 soggetti». Venticinque? «Non si preoccupi – dice rendendosi conto della mostruosità – perchè poi nella successiva commissione consultiva saremo 16». Ah ecco.

Su un punto, infine, che gira ancora una volta intorno al porto di Trieste e da lì si snoda, tuona Razeto. «Torno da una riunione con le Camere di commercio e gli imprenditori portuali – afferma – e non ce n'è uno che non si lamenti per i ritardi negli investimenti delle Ferrovie di Stato che operano in regime di monopolio rotto, da poco e con mille difficoltà passate, presenti e future, da Rail cargo Austria. Non chiediamo tanto ma che almeno investano nel raddoppio del polo di San Polo, nei collegamenti con i porti minori e sulla tratta Udine-Cervignano. Si tratta di puntare poche decine di milioni che innesterebbero un circuito economico virtuoso di cui beneficierebbero le aziende verso i mercati del centro-nord Europa e verso il sud Italia, passando per Ravenna. In fin dei conti le imprese non chiedono altro che far viaggiare velocemente fuori dai confini le merci». Già, ma se le imprese vogliono correre, politica e burocrazia vogliono, al massimo, camminare.

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