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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 13:56.

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Un bicchiere di vino, un pezzo di formaggio e una fettina di salume – rigorosamente provenienti da questa regione – sulla stessa tavola.
No, non le tavole italiane, che già sono abituate a pasteggiare con Montasio, crudo di San Daniele e Picolit ma su quelle estere, inclusi Paesi – come quelli dell'Africa subsahariana – nei quali è difficile pensare a deschi apparecchiati con prodotti del Friuli-Venezia Giulia.

Toccare per credere che l'internazionalizzazione, l'aggregazione e il brand sono vincenti anche nell'agroindustria. Cristian Vida è a capo del salumificio che porta il marchio di famiglia a Torreano di Cividale (Udine) ed è presidente del raggruppamento consultivo alimentari e bevande di Confindustria regionale. Ha poco tempo per parlare perchè sta partendo per lo Zambia. «Nella ricerca di nuovi mercati – spiega – le aziende hanno due scelte. Ci si orienta su mercati maturi se non si ha una mentalità esplorativa e una visione strategica di lungo periodo. In alternativa, si decide di affrontare mercati che potranno dare dei frutti solo nel futuro, ponendo però già oggi le basi per una propria presenza».

La partenza per l'Africa sub sahariana fa parte della visione che l'azienda Vida ha voluto imprimere all'espansione estera. Non da sola ma aggregandosi ad altre quattro imprese (due del settore, una dei formaggi e un'azienda vitivinicola) con le quali condividere sforzi e successi.
Aggregazione che, in un anno e mezzo circa, ha portato a tessere importanti contatti sia su mercati già esistenti che in quelli futuri.

«Aggregazione che ci sta avvicinando ad altre realtà produttive della regione, dal caffè all'acqua, passando per le conserve di pesce, dai prodotti da forno dolci e salati – spiega Vida – grazie alle quali possiamo offrire ai nostri importatori un ampio paniere che, da un lato, soddisfa molte esigenze e dall'altro consente forti economie di scala nell'ambito della logistica e della gestione documentale, che nella scelta dei mercati esteri in cui andare ad operare è un problema da non sottovalutare mai».
Lo stato dell'agroindustria regionale, tutto sommato, è buono, anche se soffre come tutti la stagnazione della grande distribuzione. Semmai quello che preoccupa è la dimensione delle imprese che da sole non possono affrontare la crisi.

Bene lo ha fotografato uno studio di aprile promosso da Friuladria Credit agricole e Fondazione Nord Est. Per il 57,5% degli imprenditori della regione, le ridotte dimensioni medie delle imprese limitano la possibilità di crescita. Per il 50,6% degli intervistati, inoltre, è «necessario partecipare a una qualche forma di aggregazione tra imprese, come consorzi e joint venture». Il 12,7% ritiene addirittura che sia importante «creare fusioni con altre aziende».

«Si cerca di far quadrato fra le aziende – sintetizza Vida – stimolando in particolare la creazione di collaborazioni strategiche che possano, attraverso lo scambio di informazioni e la condivisione dei costi, creare quelle condizioni per far crescere l'intero comparto, che patisce sicuramente la presenza di moltissime micro imprese, che più delle altre stanno soffrendo della stagnazione del mercato domestico». Forse è anche per questo che questo settore sta investendo moltissimo in ricerca e innovazione.

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