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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 11:08.

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Il Piemonte, nella crisi, rimane osservatorio del produrre e del rapporto tra città e «contado», per come muta dopo la ritirata del fordismo e l'esaurirsi del ciclo del capitalismo molecolare. Ieri la grande industria conformava il territorio facendo gerarchia tra luoghi e funzioni, con al vertice l'oligarchia (le élite industriali, le grandi banche) insediata a Torino. La de-industrializzazione e l'emergere di nuovi protagonisti territoriali hanno prodotto una nuova mappa, oltre lo schema centro-periferia.

L'oligarchia si è trasfigurata in una poliarchia, in cui ogni territorio ha cercato uno spazio e una rappresentazione autonoma. In ordine sparso, però, senza cooperazione strutturata e senza un vero disegno regionale. Al centro è Torino, dove più si concentrano i dilemmi della crisi, che qui ha prodotto effetti più evidenti. Percentuali di disoccupati senza eguali nel Nord (9,2% nel 2011), scivolamento nelle graduatorie del reddito pro capite (tra il '95 e il 2011 Torino perde 21 posizioni tra le province italiane) sono primi e immediati indicatori di questa realtà. Restano qui le reti di maggiore potenza, dal Politecnico alle fondazioni bancarie alle public utilities, quelle della creatività e della ricerca. Che cercano una partnership competitiva con Milano, nel campo della finanza e della creatività, con Genova e l'Emilia nelle utilities, senza includere i territori di mezzo. Sullo sfondo il sogno dello sbocco Oltralpe, rinverdito dai periodici accordi con Lione. A sud si distingue per dinamismo il territorio di Cuneo, articolato tra la pianura, un po' fabbrica verde un po' propaggine industriale, e il sistema delle Langhe, che sconfina nel Monferrato astigiano e sud alessandrino.

Qui si tiene meglio, in virtù della diversificazione produttiva, di alcune imprese a vocazione globale (Ferrero, Miroglio, Mondo, Abet, Merlo) e delle qualità agroalimentari. Qui è decollato il distretto enologico e delle produzioni Slow. Non casualmente Cuneo è provincia a quasi piena occupazione (solo Bolzano e Vicenza hanno meno disoccupati). Con la tentazione, mai sopita, dell'autonomia dall'ingombrante capoluogo. Asti rimane sospesa tra Torino e le colline del vino e del buon vivere. Alessandria, che pure ha industrie di pregio (chimica, dolci, cemento, orafo), disegna il futuro in rapporto a Genova, di cui è retroporto naturale, con le piattaforme logistiche.

Tra Torino e Milano, Vercelli paga una vocazione agricola senza un vero indotto di servizi, mentre il destino del tessile biellese si gioca nella riconversione in corso verso un made in Italy di gamma alta. Nel Verbano Cusio Ossola tiene meglio il turismo dell'industria. Novara, da sempre, è prolungamento urbano e territoriale della metropoli milanese, senza il dinamismo della pedemontana lombarda. Anche qui l'industria distrettuale è in difficoltà mentre si attende il polo aeronautico e il decollo delle funzioni logistiche.

È in questa rinnovata geografia che sono da inquadrare i mutamenti del capitalismo di territorio. Il Piemonte rimane regione di eccellenze produttive, nella ricerca e nella formazione, ma ha perso terreno rispetto alle regioni più dinamiche del Nord. Soprattutto non è emerso, nella progressiva ritirata della grande industria, un paradigma capace di fornire un'identità comune. Il ciclo postfordista ha saltato in Piemonte due stagioni: quella del capitalismo molecolare e della media impresa internazionalizzata.

Le piccole imprese non hanno minore rilevanza numerica che nel Nord-Est, ma a differenza del Veneto, della pedemontana lombarda e dalla via Emilia, il capitalismo molecolare non è mai stato culturalmente egemone. La media impresa internazionale è ormai la principale forza produttiva, ma ha un profilo diverso dalle regioni d'incubazione di questo nuovo modello industriale. Non è solo un problema di numeri, ma di qualità dello sviluppo e di centralità nella formazione della leadership e della rappresentazione.

Eppure, con lo sviluppo del terzo made in Italy, una nuova economia capace di sintesi tra qualità agroalimentari, istituzioni dello sviluppo sostenibile (in testa Slow Food), l'alta tecnologia applicata alle energie rinnovabili, la creatività e la cultura al servizio del ridisegno delle città e dei territori, la regione può trovare nuovo spazio di rappresentazione. Capace, questa volta, di ricomporre i destini tra metropoli e contado industriale e agricolo, fino a ieri più simile a una frattura che a un'articolazione.

bonomi@aaster.it

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