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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 11:06.

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La domanda è: Torino e il Piemonte possono vivere senza industria o, per lo meno, con l'industria ridotta al minimo? La questione, all'apparenza, sembra la stessa da anni: ripetitiva, opprimente. E non solo perché acuita dagli esiti della recessione e dalle scelte della Fiat-Chrysler globale di Marchionne. Tuttavia, chiedersi se il futuro di questa regione a vocazione manifatturiera debba essere la "soft economy" ha un senso? Oppure, in questi tempi terribili, suona come un inutile esercizio intellettualistico?

L'interrogativo è ben posto secondo Luca Davico, docente al Politecnico di Torino e curatore del Rapporto Giorgio Rota 2012 (da quest'anno il Comitato degli economisti che dal 2000 redige l'analisi, dopo essere diventato Fondazione è confluito nel Centro Einaudi: www.centroeinaudi.it). «La mia impressione – sostiene – è che in terra subalpina sia ancora radicata la convinzione che dalla crisi si potrà uscire con i sistemi "tradizionali". Non è vero: non è più vero. Sono convinto che nella green economy ci sia il potenziale dell'informatica degli anni Settanta: enorme. Insomma, c'è un problema culturale, di approccio alla questione. Non si può rimandare, bisogna intervenire fin da subito».

Che cosa dicono i numeri? Secondo Unioncamere Piemonte, che proprio ieri ha diffuso i dati statistici (www.piemonteincifre.it) del 2011, le imprese del terziario avanzato sono 35.199 (di cui 24.127 impegnate in attività di servizi alle aziende, 10.790 sotto la voce "informatica e attività connesse" e soltanto 282 in "ricerca e sviluppo"). Pesano sul totale delle imprese piemontesi per il 7,5%; i "servizi", nel 2011, hanno generato il 70,9% del valore aggiunto regionale. «È così – interviene Mauro Zangola, responsabile dell'ufficio studi di Confindustria Piemonte – l'occupazione continua a crearla il terziario. "Soft industry"? Estrapolando da ogni settore la componente "soft", si arriva a determinare un valore aggiunto di circa 5,5 miliardi di euro. È poco meno di un quarto di ciò che produce l'industria manifatturiera. Con qualche forzatura possiamo stimare un numero di addetti intorno a quota 100mila».

È qui il futuro? «Io penso che si debba essere molto realisti», interviene l'economista piemontese Giuseppe Berta, storico dell'industria alla Bocconi: «Il terziario è un'isola disastrata, che non trova il bandolo della matassa. È poco digitalizzato, scarsamente internazionalizzato. E sappiamo a che livelli è la domanda interna. Diciamoci la verità: questo è futuro?». Pessimista e corrosivo? «Tutt'altro – ribatte Berta –, però bisogna ragionare con strategie rapide sul futuro dell'industria che serve a questo territorio e, in ultima analisi, all'Italia. Il Rapporto degli economisti del Rota? L'ho letto ed è interessante, ma ho l'impressione che la green economy sia ancora lontana dal poter creare massa critica. Ed è sintomatico, perché il punto è proprio chiedersi come generare un volano vero. Lo snodo, a mio avviso, sta in una nuova catena del valore. Le fabbriche del futuro saranno meno fabbriche e implementeranno sempre più servizi terziari nella distribuzione e nell'assistenza post-vendita, in grado di realizzare volumi d'affari più importanti della fabbrica stessa. Cosicché avremo magari piccole imprese, di dimensioni, ma dai grandi fatturati. Sarà questa la "terza rivoluzione industriale"».

Al di là delle cifre che le aziende stanno investendo nella green economy (come Mossi&Ghisolfi, per esempio, sul fronte del bioetanolo di ultima generazione), può essere proficuo curiosare tra le erogazioni 2011 di Finpiemonte a 3.420 Pmi: 55,80 milioni sono andati a 600 aziende per "innovazione e ricerca" e 25,89 ad altre 181 per "energia e ambiente". Sui due ambiti – interessati dalle misure del Piano regionale straordinario per l'occupazione – si osserva una decisa focalizzazione. Significativi, in campo Ict, i bandi Eranet (Manunet e Crosstexnet) che richiedono l'aggregazione con una Pmi straniera. Indicativo, però, che su un'azione di sovvenzione globale (finanziata a valere sul Fse) la finanziaria della Regione abbia contribuito alla nascita di 468 nuove imprese, di cui solo dieci "innovative". «Il momento è critico – sottolinea Massimo Feira, presidente di Finpiemonte – però dobbiamo saper guardare ai modelli che funzionano. In certi Parchi tecnologici, per esempio, come il canavesano Bioindustry Park di Colleretto Giacosa, convivono università, ricerca, grande industria farmaceutica e Pmi innovative. È una strada. Stiamo seguendo con molta attenzione i bandi del Miur sui metadistretti. Abbiamo eccellenze straordinarie nell'agroalimentare e nella green economy, che possono indicare una rotta».

Per connettere con intelligenza, creatività, fiuto per il business e imprenditorialità innovativa servono formazione, ricorda ancora Luca Davico dal Centro Einaudi, e – tema antico e sempre nuovo – ricambio della classe dirigente. Una bella idea, lanciata poche settimane fa dal Gruppo Giovani industriali di Torino è "Yes4To": una consulta interassociativa di imprenditori e professionisti under 40 (12 enti ne rappresentano circa 9mila) che, giusto per iniziare, dialogherà con il sindaco di Torino, Piero Fassino e la sua giunta su vari temi, dalla smart city al turismo e all'attrattività della città. Questioni tutt'altro che soft.

francesco.antonioli@ilsole24ore.com

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