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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2012 alle ore 10:59.

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Se l'innovazione fosse l'unico antidoto alla "malattia della crisi", il pianeta italiano del farmaco avrebbe le carte in regola per resistere.
Il settore vanta il 12% delle spese in R&S dell'industria manifatturiera, investimenti che le aziende sostengono per oltre il 90%.

La farmaceutica detiene la più alta quota di imprese, l'80,7%, che svolgono attività innovativa. Sia nel 2010 che nel 2011 gli investimenti in ricerca in Italia sono stati pari a 1,25 miliardi di euro (il secondo valore dopo aeronautica e mezzi di trasporto, ma il primo in rapporto al mercato) per giunta in crescita dell'1,6% rispetto al 2009, nonostante la difficile congiuntura. E nel 2011 l'impegno è salito a 1,25 miliardi. Di eccellenze è pieno il Paese. Il polo di Novartis Vaccines a Siena, nel quale la "casa madre" ha investito oltre 900 milioni di euro dal 2006 a oggi, è uno dei punti di riferimento mondiali per la ricerca sui vaccini.

Il senese Rino Rappuoli, appena premiato con l'Assobiotec Award 2012, è il responsabile globale del settore di Novartis, che annovera in Italia altri due stabilimenti produttivi, a Torre Annunziata e a Rovereto. L'azienda si colloca al primo posto tra le farmaceutiche operanti nel nostro Paese nello sviluppo di prodotti innovativi, per cui nel 2011 ha investito 51 milioni. Novartis non è l'unica a credere ancora nello Stivale. Il gruppo francese Sanofi conta in Italia ben sei poli produttivi e oltre 3mila lavoratori, di cui la metà circa negli stabilimenti. Nonostante il piano di ristrutturazione annunciato a fine 2011, l'azienda ha confermato di voler mantenere intatto l'attuale livello di investimenti.

Innovazione fa rima con biotecnologie, volano della crescita. L'industria biotech nel nostro Paese conta 241 aziende che investono in R&S il 24% del fatturato. Le pharma-biotech (128) trainano il comparto per giro d'affari e ricerca e determinano in media il 68% dell'attività. Molte le storie di successo tutte italiane. Come quella di Abiogen Pharma, fondata nel 1917 da Alfredo Gentili e forte di un centro ricerche attivo a Pisa dal 1975, o quella di Dompé, che ha saputo coniugare un'antica tradizione familiare con la scommessa sulle potenzialità offerte dalle biotecnologie e con alleanze strategiche a livello internazionale (su tutte quella con Amgen, la prima società al mondo nel campo delle biotecnologie per fatturato, numero di dipendenti, investimenti in R&S). Famiglia e internazionalizzazione, solide radici e orizzonti globali.

Il made in Italy si riconosce anche da questo marchio inconfondibile. Lo prova il caso Chiesi, nata a Parma dal sogno di un farmacista con il pallino della ricerca e diventata oggi una realtà internazionale con un organico di quasi 4mila persone e 24 filiali dirette in cinque continenti. Da ottobre 2011 è operativo il nuovo centro ricerche del gruppo, nel quale sono stati investiti 90 milioni e impiegati oltre 300 addetti. Copione simile per Recordati, fondata a Correggio (Reggio Emilia) nel 1926, cresciuta fino a trasformarsi in un gruppo europeo con oltre 3.200 dipendenti e molto impegnata, come Dompé, anche sul fronte dello sviluppo di farmaci contro le malattie rare. Un altro campo che vede il nostro Paese ai vertici internazionali.

Gli studi clinici in Italia con almeno un prodotto "orfano" sono più che triplicati negli ultimi cinque anni. Affondare il "sistema Italia" del farmaco significa assumersi la responsabilità di rinunciare a questo patrimonio e all'indotto che genera.

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