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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2012 alle ore 10:57.

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«Senza un piano di rilancio, senza una convinta politica industriale, la farmaceutica in Italia è condannata a scomparire. Gli investitori stranieri chiedono certezze, altrimenti se ne vanno. Pensano che l'Italia è "no innovation" e guardano altrove. È la conseguenza della mancata affidabilità del Paese. Se il Governo vuole sviluppo, pil e occupazione, deve capirlo.

Ora, subito». Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, rilancia tutte le preoccupazioni delle industrie farmaceutiche made in Italy, in una fase congiunturale che definisce «critica». Tanto più in vista di nuovi tagli in arrivo per il settore.

Presidente, davvero per la farmaceutica in Italia sta suonando l'allarme finale?
La situazione è critica. Cominciano a vedersi segnali preoccupanti che non sono più solo il calo del mercato interno, ma anche il rallentamento dell'export e degli investimenti in ricerca e studi clinici, oltre alla perdita di 10mila addetti in cinque anni. È un momento cruciale.

Ma è solo un "caso Italia"? O dipende anche dalla crisi e dai grandi cambiamenti del settore in tutto il mondo?
Certo, i mercati stanno cambiando e sempre più assistiamo a una delocalizzazione verso i paesi emergenti Bric. Ma c'è un "caso Italia" che dura da troppo tempo, se pensiamo che negli ultimi cinque anni abbiamo subito manovre per 11 miliardi, a fronte di un ricavo industriale di dodici. Così non ce la facciamo più. E se prima i tagli riguardavano l'informazione scientifica, adesso toccano stabilimenti, centri di ricerca, investimenti in R&S.

E ora arriva un'altra manovra.
Noi abbiamo chiesto di renderla meno insostenibile, riequilibrando i tetti tra spesa territoriale e ospedaliera e spalmandola su tutti. Col ripiano che ci viene chiesto della spesa ospedaliera, ci sono aziende che sarebbero costrette a chiudere in Italia. Aziende importanti che fanno ricerca e investono. Tra l'altro non è neppure legale che si chieda di ripianare una spesa che non abbiamo spinto noi. Quando poi in ospedale c'è la migliore possibilità diagnostica, il miglior monitoraggio dei pazienti.

Altrimenti, minacciate, si decida che si vuole meno ricerca, meno occupazione, meno produzione.
E meno Pil. E meno export. Altro che rilancio del Paese.

Suona come un aut aut...
Non è una minaccia di Farmindustria. È la conseguenza logica della situazione. Se un'azienda deve ripianare decine di milioni, come può sostenere impiego e produzione? Certo ci sarà una delocalizzazione. Ma se la farmaceutica è fondamentale per il pil, è un settore da tutelare.

Cosa chiedete per il rilancio?
Il riequilibrio dei tetti di spesa, intanto. Ma anche regole certe che garantiscano la programmazione e la realizzazione dei piani industriali. E poi l'accesso all'innovazione e la tutela dei brevetti. Senza scordare i ritardati pagamenti da parte della Pa, su cui il Governo sta lavorando.

E cosa mettete sul piatto?
L'occupazione attuale che con l'indotto conta 130mila addetti, la possibilità di mantenere un livello di export ancora più elevato. Se questo Paese davvero vuole credere nello sviluppo, noi possiamo potenziare gli investimenti. Con le nostre eccellenze e con il grado di innovazione al top che tutti ci riconoscono. Davvero il Paese vuole perdere questo patrimonio?

Cosa dicono i quartieri generali di Big Pharma all'estero del "caso Italia"?
Vedono l'Italia come un Paese che non dà accesso, che ha prezzi più bassi e tetti di spesa per prodotto, che chiede ripiani, che cambia le regole di punto in bianco e ha tempi lunghissimi d'accesso dei farmaci al mercato. Tutto questo all'estero non lo capiscono. Dicono: l'Italia è "no innovation" e dedicano altrove gli investimenti. Allora bisogna invertire la rotta per convincere gli investitori stranieri che sull'Italia si può puntare perché è un Paese credibile. Se il Governo davvero per la ripresa punta sulla credibilità, deve capirlo. Ora, subito.

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