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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2012 alle ore 18:20.

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Del migliaio di start-up attive in Italia monitorate nell'ultimo rapporto di Mind the Bridge Foundation, un quarto si colloca in Lombardia, regione che risulta di gran lunga la più prolifica. Dei 990 spin-off conteggiati dal Network per la valorizzazione della ricerca universitaria (Netval), 114 pari all'11,5% del totale, sono lombardi. Infine, qui si è concentrato, secondo i dati elaborati dall'Italian business angel network, oltre la metà delle operazioni nazionali di investimento condotte da business angels (investitori privati).

Guardando ai numeri è fuor di dubbio che la regione, rapportata al quadro nazionale, sia un terreno fertile per le iniziative imprenditoriali frutto della commistione tra ricerca e impresa e che possono essere considerate l'avanguardia in termini di innovazione. Per start-up, infatti, la fondazione Mind the Bridge intende quelle realtà che operano in ambiti innovativi, con intensi piani di crescita e che necessitano di apporti di capitale nelle fasi iniziali. Gli spin-off monitorati da Netval, invece, nascono dall'ambito universitario dove gli atenei lombardi presi singolarmente non si distinguono in modo particolare, dato che il più prolifico, cioè l'Università statale di Milano, rappresenta il 3,3% degli spin-off nazionali mentre il Politecnico di Torino arriva all'8,2% e l'Università di Padova al 5,3%, ma nel loro complesso costituiscono una realtà diffusa di collaborazione tra ricerca e impresa che a livello regionale vale la seconda posizione dietro l'Emilia Romagna, dove si concentra l'11,6% degli spin off.

I numeri assoluti, però, sono molto limitati e costituiscono una goccia nell'universo imprenditoriale lombardo. «La Lombardia è un territorio favorevole, anche se i numeri di start-up e spin-off complessivamente sono molto bassi – conferma Riccardo Pietrabissa, docente al Politecnico di Milano e presidente di Netval –. Tuttavia la proposta di ricerca nel complesso è significativa, ma se ci si chiede se tale attività costituisca un elemento di attrattività del territorio la risposta è negativa. L'aspetto positivo e che dieci anni fa non c'erano nemmeno queste realtà. Il time to market di questo settore è lungo, per diventare attrattivi ci vuole tempo e la situazione attuale è conseguenza del fatto che siamo "giovani". Ma per crescere è necessaria una condivisione di obiettivi tra più soggetti che ora non c'è». A questo riguardo vale la pena ricordare che a fine giugno l'assessore al Lavoro del Comune di Milano, Cristina Tajani, ha chiesto al governo la creazione di una no tax area milanese per le start-up.

«Il mondo industriale lombardo – prosegue Pietrabissa – è più abituato a interfacciarsi con la ricerca e le università, ma il governo nazionale su questo fronte è latitante e quello locale non può dare tutte le risposte. Per crescere è necessario creare un ambito favorevole allo sviluppo di più iniziative in modo da aumentare la qualità complessiva della base, mentre noi oggi puntiamo solo sul talento del singolo». In altre parole non c'è un sistema strutturato e funzionante che stimoli e accompagni le nuove iniziative così da ampliare il bacino delle attività in grado di portare innovazione nel mondo produttivo.

«La Lombardia ha grandi potenzialità - osserva Alberto Onetti, presidente della Fondazione Mind the Bridge e docente all'Università dell'Insubria - ma ho paura che a livello politico si veda il fenomeno start-up come una soluzione tampone. Cosa vogliamo incentivare, aziende che siano una sorta di parcheggio per i giovani o realtà che possano sviluppare innovazione e occupazione? In passato abbiamo avuto iperfermentazione di iniziative che nel complesso non hanno portato da nessuna parte perché non premiano l'eccellenza vera». In effetti il "fermento" sul territorio non manca, come testimoniano i dati relativi a un bando lanciato l'anno scorso dalla Regione. In dodici mesi sono arrivate oltre 700 richieste di finanziamento, ma l'operazione coinvolge tutte le nuove attività, senza distinguere in base al potenziale innovativo. Inoltre, secondo Onetti, c'è un altro limite, di natura culturale, costituito dal fatto che gli italiani partono dalla piccola impresa e con progetti che crescono in modo graduale «ma che poco si adattano alle nuove tecnologie che devono puntare su grandi capitali e su un forte sviluppo in tempi rapidi».

«Come Regione – afferma il vicepresidente e assessore a Industria, artigianato, edilizia e cooperazione Andrea Gibelli – abbiamo scommesso sulle start-up con misure che premiano la creatività perché la scommessa strategica è investire su quelle imprese che sono in grado, grazie all'innovazione tecnologica, di rendere nuovamente competitivi settori maturi, dando vita a un effetto che non sposta l'economia su nuovi settori che già si alimentano da soli ma rivitalizza quelli tradizionali. Da questo punto di vista ci sono per esempio delle sperimentazioni nel settore automotive che vengono portate avanti da start-up che collaborano al contempo con aziende lombarde e università estere». Quanto ai numeri complessivamente limitati che caratterizzano questa avanguardia di imprese, secondo Gibelli «tenuto conto che fare impresa oggi è una scommessa doppia rispetto a un mondo a crescita zero, gli strumenti pubblici sono contenuti e le nostre aziende non hanno i vantaggi presenti nei paesi in via di sviluppo; firmerei subito se mi dicessero che le start-up di oggi domani diventeranno delle multinazionali tascabili».

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