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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 13:46.

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«Il nostro valore aggiunto è il made in Italy, sinonimo di qualità e servizi post-vendita. È una strada dura perché il mercato è saturo di prodotti esteri venduti a prezzi molto più bassi. Ma noi scommettiamo sulla ricerca e sull'innovazione oltre che sulla consulenza esterna di designer che ci consentono di anticipare le nuove tendenze, per stare sul mercato e non arrenderci alla crisi».

Alessandro Scopetti è direttore generale della Simas, azienda di sanitari e arredo bagno del distretto della ceramica di Civita Castellana (Viterbo), con un fatturato di 12 milioni. Circa la metà dei 118 addetti è coinvolta dalla cassa straordinaria, chiesta «per smaltire lo stock di magazzino». Ma Scopetti resta fiducioso, malgrado la stagnante domanda interna e la crisi dei tradizionali mercati Ue (Spagna, Gran Bretagna, Germania e Francia). E punta sui paesi emergenti. «Le nostre vendite sono sempre state per il 70% in Italia e il 30% all'estero. Oggi siamo al 60-40. L'obiettivo è il 50-50, con il traino di Cina, India e paesi dell'ex Unione Sovietica». I dati lo confermano. Lo scorso anno l'export viterbese di prodotti in ceramica è calato del 2,9% ma è cresciuto a due cifre verso la Cina (+71,7%), l'Ucraina (+42,2%) e la Russia (+25,7%). E a tre cifre (+124,7%) verso l'India.

Malgrado i tentativi di risalire la china, il polo di Civita Castellana continua a fare i conti però con una crisi decennale, che dopo aver spazzato il comparto della stoviglieria, dal 2008 ha aggredito quello dei sanitari. In base ai dati del Centro Ceramica di Civita Castellana, (consorzio che riunisce le maggiori aziende dell'area) le 36 imprese produttrici di ceramica sanitaria del distretto (per un totale di 2.205 addetti) hanno visto calare lo scorso anno produzione (-8,3%), vendite (-4,2%) e fatturato (-2,6%). Dati tanto più preoccupanti se si considera che nel distretto viterbese, unico polo industriale della Tuscia, si concentra quasi il 52% della produzione nazionale di ceramica sanitaria.

Non solo. In base ai dati della Filctem-Cgil di Viterbo, sulle 70 aziende della filiera della ceramica (3.200 addetti), sono 54 quelle con procedure di cassa integrazione attivate, per un totale di 2.154 addetti coinvolti. «Il calo degli ordini è incontestabile - ammette Augusto Ciarrocchi, presidente della sezione ceramica di Unindustria, nonché presidente di Ceramica Flaminia, storica azienda viterbese di idrosanitari - ma la crisi ha solo rallentato gli investimenti in ricerca e innovazione, che restano strategici per conquistare fette di mercato, soprattutto all'estero. Meglio fare meno utili e tenere alta l'asticella della qualità, puntando su design originali e soluzioni ecocompatibili, come gli scarichi a basso consumo d'acqua». Il distretto però ha bisogno anche di interventi esterni. «Bisogna rendere chiaramente riconoscibili i prodotti cinesi - conclude Ciarrocchi - con l'obbligo del marchio del paese d'origine sui pezzi in ceramica, non solo sugli imballaggi. E vanno studiate misure per alleggerire il costo esorbitante dell'energia».

Export e qualità dei prodotti sono i fattori chiave anche per Andrea Gulinucci, ad di Ceramica Globo, azienda specializzata nell'arredo bagno (36 milioni di fatturato e circa 180 dipendenti). «Lavoriamo con designer internazionali, anche cinesi, - dice Gulinucci - per entrare nei mercati esteri, dove realizziamo il 35% del fatturato. In passato abbiamo razionalizzato e usato la cassa integrazione, ma non abbiamo mai smesso di investire sui prodotti di fascia medio-alta». Non tutti riescono però a reggere. «Varie aziende si preparano a trasformare la cassa in licenziamenti - avverte Valentino Vargas, segretario della Filctem Cgil di Viterbo - e chi ricorre alla cassa denuncia un calo del 35% degli ordini».

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