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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 16:22.

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Dai mercati esteri arrivano segnali incoraggianti, ma quel +6,2% di export messo a segno dalle Marche nel primo trimestre dell'anno – sopra il +5,5 nazionale – non basta a rasserenare gli animi. Così come non basta il segnale di vitalità che arriva dalle imprese, cresciute di 990 unità pure tra aprile e luglio, in piena recessione. Perché a vacillare è il modello dell'economia tra le più manifatturiere d'Italia, basato su distretti e su settori tradizionali ad alta intensità di manodopera, che più risentono della concorrenza dei Paesi a basso costo tanto da indurre molte imprese a delocalizzare pur di sopravvivere, come è successo nel Fabrianese tra elettrodomestici e cappe.

Il calzaturiero è fra i pochi distretti che oggi brillano di luce nuova, dopo un lungo e doloroso cammino di ristrutturazione. Trainato dai brand del lusso, il distretto fermano nel primo trimestre 2012, rispetto allo stesso periodo dell'anno prima, ha messo a segno un aumento di export dell'8,5% come evidenziano i recenti dati del Monitor Intesa Sanpaolo. È il sistema moda, oggi, il vero motore del «made in Marche»: pesa il 26% delle vendite estere, davanti a meccanica (17%) ed elettronica (13%), mentre è nell'agroalimentare che si intravedono le potenzialità maggiori. «Il problema è la piccola dimensione aziendale.

Le imprese esportatrici sono meno del 30% – nota Marco Cucculelli, docente di Economia applicata all'Università Politecnica di Ancona, che supporta il centro studi di Confindustria Marche – e chi esporta sistematicamente è appena un 10 per cento. Eppure sta avanzando una grossa pattuglia di medie imprese innovative, singole realtà di successo in diversi settori, sul solco della vocazione manifatturiera locale».

L'anno si è aperto per l'industria in tono negativo (nei primi tre mesi -2,4% la produzione, vendite in calo sia in Italia, -5,8%, sia all'estero, -0,2), così come in flessione si era chiuso il 2011. «Un trend al ribasso che si conferma anche nel secondo trimestre, su cui pesa la crisi dell'edilizia che ha trascinato con sé arredamento ed elettrodomestici, ma che trova un argine nella creatività delle nostre aziende», anticipa il neopresidente degli industriali marchigiani, il maceratese Nando Ottavi. Ma non tutto va male: ad esempio, l'azienda di Ottavi, la Nuova Simonelli, leader nelle macchine professionali per caffè espresso, è in crescita, e oggi illustrerà i risultati dei forti investimenti in qualità.

«Serve maggior sostegno pubblico a innovazione e ricerca e occorre che l'università – aggiunge Ottavi – entri nelle imprese, così come devono entrarci i giovani tecnici e i manager del futuro. In questa direzione si muove il nostro progetto, sposato dalla Regione, "Adotta un giovane", per inserire 150 ragazzi in azienda, il cui successo sta superando le attese. E si deve puntare sulle reti tra piccole e medie imprese per fare massa critica. Solo così il made in Marche avrà titolo per imporsi all'estero». Difesa delle classiche attività manifatturiere, sostegno ai settori che oggi muovono lo sviluppo – come turismo, cultura, agricoltura – e spinta alle nuove forme imprenditoriali dei giovani, in sinergia con il sistema universitario, che si stanno sviluppando tra domotica, robotica, tecnologie di servizi e software.

È il tris d'assi su cui scommette il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca: «Tre piste che si incrociano a matrice e che vanno seguite e valorizzate – spiega il governatore – e accompagnate da forti investimenti in trasferimento tecnologico e innovazione. Un tema su cui le Marche sono ancora agli ultimi posti tra le regioni italiane». Non c'è, però, pessimismo negli occhi di Spacca, perché se è vero che il panorama dei distretti è in crisi, spiccano «a macchia di leopardo singole imprese di questi cluster che crescono grazie all'azzeccata strategia basata su innovazione e internazionalizzazione. Così come serve un buon mix organizzativo-imprenditoriale per dare slancio a progetti in cui crediamo, come Jesi cube o Ascoli 21».

Proprio quest'ultimo progetto, Ascoli 21, ha appena manifestato l'intenzione di candidarsi al bando per il «Piano per le città» nell'ambito del decreto Sviluppo. Sarà richiesto un co-finanziamento per 30 milioni (sui 330 complessivi, a carico dei privati) per lo sviluppo del nuovo Polo tecnologico e delle infrastrutture correlate. E proprio gli investimenti privati sono ciò di cui più hanno più bisogno le Marche, vista anche la cura dimagrante della Pubblica amministrazione imposta dalla spending review (che comporterà l'accorpamento delle Province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, ma la Regione sta valutando il ricorso alla Corte costituzionale). E visti anche la morsa del credito e l'aumento del tasso di disoccupazione (salito all'8,9%).

Ma le Marche si ostinano a guardare lontano, puntando al ruolo di perno economico della nuova macroregione adriatica e a un modello di sviluppo duraturo ed ecosostenibile. Così, dopo la green economy ora si parla di blue economy, con l'idea di mettere a sistema pesca, turismo, cantieristica, logistica e servizi. Nuove idee che possono alimentare lo sviluppo.

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