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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 16:22.

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Difficile collocare le Marche nella geografia della metamorfosi del capitalismo di territorio italiano dentro la crisi. Fino a ieri, erano l'idealtipo del territorio plurale in cui l'Italia è più Italia. Dei metalmezzadri raccontati da Giorgio Fuà e del sottoscala che si fa distretto. Di multinazionali tascabili che quotano sui mercati globali il saper fare sedimentato nel locale. Di quelle virtù civiche narrate dal politologo Usa Robert Putnam, dentro la dimensione del cooperare competendo fra imprese e del policentrismo delle piccole patrie territoriali.

Tutto questo, oggi, sembra destinato a mutare. Tanto più in una terra in cui nel bene e nel male «si esaltano i picchi», come dice il marchigiano Federico Vitali fondatore di Faam Group.

A confermarlo, le difficoltà di una manifattura con ordini e produzione di nuovo in calo, dopo la breve e illusoria ripresa del primo semestre 2011. E con un'occupazione in perdurante discesa. Un dato è il segno evidente dello sfilacciarsi del legame tra chi presidia le reti che portano al mondo e chi, almeno fino al 2007, vi si era accodato: al calo della produzione si accompagna una crescita dell'export, soprattutto verso Russia (+18,8%), Stati Uniti (15,6%) e Asia (+21,9). A essere in discussione, almeno nelle Marche, è tutto il modello del Nec (Nord-Est-Centro), del capitalismo diffuso e dell'intreccio tra capitalismi: piccolo e medio, manifatturiero e terziario, locale e globale. Oggi non basta più la narrazione della regione plurale, lo spazio di posizione delle piccole patrie e quello di rappresentazione del vertice basso di un triangolo industriale Torino-Trieste-Ancona.

La nuova stagione dello sviluppo marchigiano si gioca sull'intreccio fra capitalismo di territorio e quello delle reti. Centrale è la questione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali, da anni ormai al palo. In questo senso, le Marche potrebbero diventare il nodo che lega il corridoio adriatico in via di potenziamento, con la suggestione del corridoio dell'Italia di mezzo che va da Valencia ai Balcani tagliando in due la penisola da Livorno ad Ancona. Una prospettiva, questa, che abbraccia, oltre alle Marche, anche Toscana e Umbria, terre di soft e green economy. Se riuscirà ad intrecciare limite e sviluppo, capitalismo di territorio e quello delle reti, assi infrastrutturali che corrono lungo l'Adriatico, e quelli che ci arrivano partendo dal Tirreno, le Marche potranno raccontare una storia nuova. Affiancando a quel che rimane della narrazione del Nec , il nuovo spazio di rappresentazione del Tad (Tirreno-Adriatico).

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